104 OSCAR DE INCONTRERÀ dine di Eugenio Viceré d’Italia, erano rimasti interrotti in mezzo alla disfatta napoleonica. Essi furono infatti ripresi nel 1819 dal conte Charles de Sam-bucy de Luzenfon, nipote del Principe Baciocchi per il suo matrimonio con la contessina genovese Aurelia de Cattaneo, il quale sotto il governo di Elisa s’era reso benemerito nel Ducato di Lucca come direttore generale dei ponti e delle strade. Chiamato a Villa Vicentina per trasformare la tenuta dei Gorgo in principesca dimora e già specializzatosi negli scavi di Tusculum e di Pompei, persuase gli zìi ad intraprendere l’opera meritevole, i cui progressi poi Elisa segui con entusiasmo sul posto quasi giornalmente. Gli scavi aqui-leiesi furono però abbandonati già nel giugno 1820, avendo dovuto l’archeologo restituirsi in Francia. Lasciò a Villa Vicentina una galleria di antichità, formata con gli oggetti di quei ritrovamenti e della quale oggi si ignora la sorte (107). Ai trattenimenti artistici in cui tutti e tre i Napoleonidi gareggiarono e ai quali parteciparono i maggiori virtuosi d’Italia, sono legati imperituramente i nomi di Nicolò Paganini, che fu per sette anni amante di Elisa e di Giovanni Battista Velluti, il tenore che fu il beniamino dei teatri europei dell’epoca. Il Paganini, che fu pure l’amante di Paolina Borghese, occupò alla Corte di Elisa la carica di «virtuoso di camera»; egli affermò che il suo più noto virtuosismo lo dovette agli incitamenti di questa Principessa e che lo stesso egli lo iniziò davanti a lei, tra lo sbalordimento degli astanti, eseguendo, per il genetliaco del Bonaparte, il 15 agosto 1801, una «suonata con variazioni», su una corda sola, la quarta (108). Il 4 settembre 1820 ebbero luogo a San Giusto, con un complesso eccezionale di artisti, le esequie solenni di Elisa (109). L’8 agosto 1821, col pretesto del primo annuale della morte di questa, ma in realtà soprattutto per il riposo dell’anima di Napoleone, la notizia della cui morte era qui pervenuta il 19 luglio, fu celebrata in Santa Maria Maggiore una Messa da Requiem, con l’intervento del Velluti, di sei tra i più eminenti virtuosi d’Italia, fatti venire espressamente a Trieste e di tutta l’orchestra del Teatro Nuovo, oggi Giuseppe Verdi (110). Ritengo che se si eccettuino quelli di carattere ufficiale cantati nel Ducato della vedova Maria Luisa d’Austria — che finalmente poteva sposare il suo Neipperg, che le aveva donato già due figli (111), — questo di Trieste fu l’unico grande Ufficio funebre che si celebrò per il morto di Sant’Elena nell’Europa della Santa Alleanza. Non è da stupirsi se in questo ambiente, che cercava di rievocare gli splendori del Primo Impero, venissero a radunarsi quasi tutti i più eminenti personaggi del caduto regime, relegati nell’Austria metternichiana. Vi vennero Maret Duca di Bassano, Arrighi Duca di Padova, Fouché Duca d’Otranto, Savary Duca di Rovigo, che non potè però rimanervi e Pons conte di Rio. Accanto ai congiunti del loro esule Imperatore, sentirono meno il peso dell’esilio e della sorveglianza poliziesca; non potendo vivere in uno Stato della Penisola, trovarono modo di dimorarvi ugualmente, stabilendosi in questa italianissima città meridionale dell’impero Austriaco, «che aveva quasi sempre il suo sole», «che ricordava Napoli» (112) e che «col suo movimento, il cielo e le piante di Provenza» non era da sdegnarsi, «giacché è soave cosa a chi del tutto non è privo di senso, il patrio nido» (113). (Continua) OSCAR DE INCONTRERÀ