40 REMIGIO MARINI Il terzo giuliano, un udinese questa volta, è Afro Basaldella. Pittore estroso, moderno e antico d’ispirazione (d’un’antichità tendente al barocco; ricordiamo ancora dopo alquanti anni una fantasiosa forse non troppo riverente ma indiavolatissima congrega di santi in cielo esposta a una sindacale triestina) il giovane Afro è parecchio conosciuto in Italia e all’estero. Qui è rappresentato da sei opere che ci mostrano l’ultima sua maniera: un lirismo drammatico parecchio allusivo. La tecnica deriva dall’impressioni-smo; soltanto che il procedimento qui è inverso: il pittore impressionista era ossessionato dall’idea dell’oggettivismo che arrivava fino alla presunzione scientifica: Afro invece parte da una visione personale e poetica della realtà e questa sovrappone continuamente al modello che gli sta innanzi. Cioè egli non fa che seguire, intensificando e magari forzando, il processo di ogni creazione artistica. Il colore ha in lui azione preponderante; macchie, chiazze, lunghe pennellate sottintendono disegno, ombra luce, volume. Forse nùn tutto può sodisfare in lui: forse è lui il primo insodisfatto. Non importa: questo giovane ha un’anima poetica e un drammatico violento bisogno di esprimerla. Quanto egli produce, lo conferma: e questo è già arte. Guardate quel suo paesaggio antidiluviano movimentato tormentato. Può ricordare certe sinuose bizzarrie paesistiche di Gauguin, meno il decorativismo, o certe disegnate pitture di Van Gogh, meno la calma spettrale. Guardate quelle nature morte: c’è stranezza e bizzarria e tuttavia nulla è vuoto arbitrio. Meravigliosi fra gli altri quelli «Abbacchi»; tre teste d’agnello, accatastate con certa simmetria architettonica: e niente è di più vivo e doloroso di quella simmetria: ottenuta con tre povere cose ch’ebbero vita, che patirono, che vivono e patiscono ancora nelle carni sanguinolente, negli occhi presi dall’orrore, dolorosi, umani. Questo è veramente un brano di alta pittura e, diciamolo pure, di pittura grande: compenetrazione viva di materia bella e di umano sentire. Ecco l’imagine di questo geniale pittore in un duplice autoritratto. Sembra molto più anziano di quanto appare dai dati anagrafici: anziano, quasi vecchio, in uno sguardo che sembra appuntarsi nell’interno delle cose, più che sulle cose: un frate laico, dal volto scavato sparso di ciuffi di barba incolta come cespugli su rocce abbandonate. Ritratto meglio che d’un uomo, d’un’anima. * ** E veniamo agli artisti vincitori dei vari concorsi. Sergio Selva, nato e vivente a Roma, un triestino d’origine e di consuetudini (è figlio dell’accademico d’Italia Attilio) presenta un affresco di soggetto fascista: «Legionari a riposo». E’ uno dei migliori di tutto il concorso. Ampiezza di spazi, squadrature di figure, interpretazione della vita rude militaresca che il soggetto rappresenta danno un’adeguata idea dell’arte di quesio giovanissimo. Non è evitata, forse è voluta, certa sommarietà di rappresentazione e certe durezze geometriche di linee e volumi: così si ha qualche brano inerte nella vastità della scena: ma vi compensa la luce calda dorata del fondo ch’è l’accento lirico cantante del quadro. Per i ritratti sculturali un eccellente busto è offerto da Marcello Ma-scherini: «Mia madre». Lo scultore triestino che nella penultima Biennale fu dei cinquanta artisti prescelti per una personale (e tutti ricordano