20 PIERO STICOTTI molarsi. Ad ognuno che si presentava, l’ufficio centrale di questura rilasciava un foglio, col quale doveva portarsi in tutti i dodici uffici di questura di Firenze, dove il questore lo dichiarava incensurato e vi apponeva la firma e il timbro. Quanta gioventù! Quanto entusiasmo! Trovate le carte in piena regola i nostri furono accettati. Partivano frattanto le prime squadre dei garibaldini e tra questi vi era il patriota Giuseppe Caprin. Il giorno 26 di maggio passarono la visita nella soppressa chiesa di S. Iacopo e avuto il necessario certificato ricevettero trenta lire a testa per l’approvvigionamento. Comperata una sacchetta ad armacollo e venduto tutto il superfluo, il 30 dello stesso mese, prima di lasciare Firenze, il Dalben li condusse a salutare il venerando patriota Niccolò Tommaseo: il grande cieco li accolse come figliuoli e avendo inteso il loro proposito li benedisse. Luogo di destinazione era Bari. La prima tappa fu Arezzo; di qui, mancando la ferrovia, dovettero percorrere diversi chilometri a piedi. Arrivati a Maggiona ebbero festose accoglienze dalla popolazione, che offerse loro vino e cibarie. Per Torricella arrivarono a Perugia e dopo breve sosta a Foligno: tutto a piedi. Per ferrovia ad Ancona, dove si sfamarono in un’osteria condotta da un certo Merlo triestino, che più tardi a Trieste faceva il gridatore. Era allora in costruzione il Corso Vittorio Emanuele e il Donaggio udendo parlare alcuni di quegli operai notò con sua grande sorpresa che erano dei nostri buoni villici. Dopo una fermata a Foggia giunsero finalmente a Bari, dove furono alloggiati nella soppressa chiesa dei Gesuiti. Dovettero andar a prendere della paglia per il giaciglio; ma nessuno, per quanto stanco, dormì quella notte; e anche nelle sere successive non si faceva che ridere e divertirsi e intonar canzoni patriottiche. A Bari venne formato il VI Reggimento, comandato dal colonnello Ni-cotera (2). Il Donaggio faceva parte della 23.a compagnia, il Ferolli della 24.a, tutte e due acquartierate in quella chiesa abbandonata, che fu ridotta in uno stato compassionevole: per non dire di peggio, vi fu piantata una bottega da barbiere, poiché era stato imposto ai volontari il taglio dei capelli. Dovettero poi lasciare Bari e trasferirsi ad Acquaviva per dar luogo ad altri volontari in arrivo. Prima di iniziare la marcia un sergente domandò se c’era qualcuno che per le fatiche sinora sostenute non se la sentisse di proseguire. Ne uscirono pochi, tra i quali anche quel tipografo zaratino, Emanuele Godas. Ad Acquaviva furono acquartierati in un convento. Grande fu la gioia, quando, dopo lungo attendere, i volontari poterono indossare la camicia rossa. Vendettero allora i loro vestiti borghesi, che andarono a ruba. Si ritorna a Bari, ma questa volta il quartiere è in un altro convento, in una splendida posizione in riva al mare. Dopo due giorni si ricevono i fucili; al Donaggio ne toccò uno che aveva incise diverse iniziali e date, alle quali egli aggiunse le sue. Nel pomeriggio, terminate le manovre, i volontari si disperdevano per la città. Un giorno fu trovato in aperta campagna il corpo esanime di un garibaldino ferito. In un attimo si sparse in città la triste notizia producendo tra i volontari un pericoloso fermento, che solo le prudenti parole del colonnello valsero a sedare. Il giorno dopo tutti i garibaldini, l’ufficialità e la truppa regolare, la guardia nazionale e grande folla di cittadini resero alla salma gli estremi onori. Di nuovo si dovette lasciare la sede di Bari ad altri sopravvenuti. A Mo-dugno il colonnello tenne un’allocuzione alle truppe annunziando che il VI