L OPERA CRITICA DI SCIPIO SLATAPER Si può dire che la sua opera di critico Scipio Slataper l’abbia incominciata facendosi traduttore. E traduttore si fece quando per una necessità irresistibile del suo spirito di attingere idee nuove, scoprire e approfondire i problemi dell’anima tedesca alla quale si sentiva in certo modo vicino, studiò opere straniere e le volle rivelare in Italia dove non erano ancora direttamente conosciute. Fu all’inizio di quel periodo di interessamento nuovo per gli esponenti del pensiero della Germania, favorito dal movimento letterario della «Voce», e promosso anche in gran parte dal Borgese specialmente con il suo libro «La nuova Germania», che il nome di Federico Hebbel cominciò ad attirare la curiosità e l’attenzione del pubblico italiano. E fu in seno all’ambiente vociano, promotore di ogni nuova conquista di valori spirituali universali che Scipio Slataper, da poco entrato a far parte di quella corrente chiamata dello «Sturm und Drang» italiano (1), sentì il bisogno di conoscere quel grande spirito tedesco. Come uno degli «Stürmer und Dränger» più convinti egli volle contribuire alla battaglia vociana per le lettere, dedicando uno studio più profondo alla letteratura tedesca con particolare riguardo a Hebbel. Letto Hebbel ne fu conquistato. La lettura gli rivelò esistere fra lui e il drammaturgo tedesco dei punti di contatto che gli fecero credere d’aver ritrovato «un fratello». Così, dopo parecchi mesi di studio e di letture, con entusiasmo sempre vivissimo, Scipio Slataper pubblicò i primi articoli sulla «Voce» e un saggio della traduzione dei «Diari», ai quali fece seguire la traduzione della «Giuditta» fatta in collaborazione al suo amico Marcello; e più tardi il volume di passi scelti dai «Diari». La «Giuditta», sanguinosa leggenda biblica diventata attraverso l’originalità spiccatissima di Hebbel una tragedia passionale, riuscì una traduzione intelligente, fedele, e se anche non perfetta, bellissima. Il volume dei passi scelti dai «Diari», opera che riflette la vita agitata e tormentata del poeta, fu giudicata traduzione un po’ manchevole nella forma e non sempre felice nella scelta dei passi. E’ che il traduttore faceva anche opera di critico, e osservando e ammirando, da una parte valutava maggiormente certi passi che rispondevano meglio al suo pensiero, e dall’altra talvolta volgendo la frase in italiano la rendeva come la sentiva lui soggettivamente, indagando lo spirito del poeta. Spesso, anche per attenersi al testo con scrupolosità, trascurò la chiarezza dell’espressione nella forma italiana. (I) G. STUPARICH - Scipio Slataper, pag\ 34.