DAL DIARIO DI UN GARIBALDINO 23 gnia giunta che fu in prossimità del monte fu trattenuta alquanto dal fiume Chiese: essa riuscì a passare a guado due bracci, più diffìcilmente il terzo che aveva l’acqua alta, e non pochi furono i feriti travolti dalla forte corrente. La 24.a compagnia, del Ferolli, ebbe l’ordine di occupare il ponte. La violenta resistenza del nemico fu superata solo grazie alla mirabile precisione dei tiri dell’artiglieria e al sopraggiungere di rinforzi: in un ultimo attacco gli austriaci furono messi in fuga da tutte le posizioni. Tuttavia a un buon numero riuscì di rifugiarsi in una chiesuola. Poste delle sentinelle avanzate con regolare consegna, fu piazzato un cannone che comandato da un maggiore prese di mira la chiesa. Un primo e un secondo tiro ne sfiorò una cantonata. Allora un caporale pregò che fosse lasciata a lui la mira per un terzo tiro, che di colpo sconquassò il tetto, e il nemico dovette darsi a precipitosa fuga. Il caporale venne fregiato della medaglia al valór militare e fu acclamato dai commilitoni. Ricevettero poi l’ordine di occupare un monte: la salita fu faticosissima anche perchè da gran tempo mancava il cibo; arrivati sulla sommità trovarono altri volontari che vi erano giunti da un’altra parte più facilmente portando del pane e del formaggio. Ma non si potè riposare, perchè durante la notte si scatenò un furioso temporale e non si aveva che la coperta per ripararsi: il Donaggio andò a rintanarsi sotto un masso. La mattina scesero a raggiungere il loro reggimento: il Donaggio chiese dell’amico Ferolli ed ebbe la notizia che della sua compagnia appena una metà aveva risposto all’appello. Inquieto per la sorte dell’amico ebbe almeno il tempo di scrivere una lettera al suo principale a Firenze informandolo di quanto finora gli era occorso. Continuarono le marcie e gli accampamenti nei prati. Riunito il reggimento la sera del 19 luglio si distribuirono viveri per due giorni, quattordici gallette e un gran pezzo di formaggio e si riempirono di vino le borraccie. Si partì immediatamente per Tiarno di sopra. Il colonnello Menotti e altri ufficiali li passarono in rivista tra incessanti evviva. Calato il giorno una fìtta pioggia accompagnò le truppe che a stento varcarono il monte sdrucciolando a ogni passo. Per asciugarsi volevano accendere dei fuochi, ciò che non fu loro permesso; nè si poteva cambiarsi, perchè la biancheria era tutta inzuppata. All’alba del 20 luglio si discese a Tiarno di sotto: si bivaccò per le vie. Una fanfara annunziò l’arrivo di un reggimento: era il nono comandato da Menotti, che aveva marciato tutta la notte. Il Donaggio domandò a un sergente se nella sua compagnia vi fosse qualche triestino, e gli fu fatto il nome di Giuseppe Caprin. Poco dopo lo trovò ch’era sdraiato a terra e sfinito dalla fame, e gli offerse del suo pane e del formaggio; poi si salutarono. Tra i nuovi venuti si faceva un gran parlare della presa del forte di Ampola: il comandante austriaco non aveva voluto arrendersi per quante volte andassero a parlamento; allora si iniziò l’assedio e il Generale Garibaldi fece appostare dei cannoni; parlamentarono ancora, ma invano; finalmente l’artiglieria distrusse il forte e ne fece prigioniera la guarnigione, che fu ricevuta dai nostri con l’onore delle armi. Si discostarono un poco dal paese e si accamparono in un prato o meglio in un fondo paludoso, dove passarono la notte. Per fortuna c’era lì vicino una capanna, della quale in un attimo non rimase traccia, poiché tutti a gara ne asportarono le tavole per farsene un giaciglio. Per tutta la notte si udi-