BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 61 colta dal desiderio dei suoi nuovi congiunti, e dove — appena entrata — depone il suo vestito da festa, per indossarne uno semplice e disadorno, il suo vestito di massaia che incomincia subito a dirigere la famiglia servendo gli invitati. Anche in occasione delle grandi feste religiose si imbandiscono dei lauti banchetti, ma generalmente il popolo di Mo-rniano è sobrio e frugale, come tutti i rurali d’Italia, i quali non si sgomentano, quando vengono a mancare certi generi alimentari, che troppo facilmente i cittadini chiamano «di prima necessità». Leggete così, con curiosità e con interesse, come si può saporitamente sostituire e tranquillamente dimenticare il caffè; chi non conosce lo «scrobolo», lo «spazzapàn» e le altre vivande appetitose qui descritte, se ne sentirà venire l’acquolina in bocca. E si invidieranno le mense rustiche, con le loro scodelle fumanti e sapide di minestre odorose, condite con le erbe aromatiche delle colline. Ma più interessante ancora, per chi sa rintracciare nella popolaresca del costume il substrato eterno della spiritualità e dell’umanità, è tutto il complesso di superstizioni e credenze, qui raccolto e descritto con verità e passione scientifica. Esistono, per esempio, gli «strighi»? Non confondiamoli — badiamo — con gli stregoni, i maghi, i fattucchieri di cui parlano un po’ tutte le tradizioni popolari. Gli «strighi» si devono piuttosto considerare persone stregate, soggette ad una fatalità non cercata nè ambita, e purtroppo capaci di fare anche involontariamente il male altrui. Naturalmente in città se ne ride; ma quanti saprebbero trattenere un brivido di sgomento nella tristezza della campagna invernale, quando le brume e le nebbie compongono strane e mostruose figure, che si formano e si dissolvono misteriosamente dinanzi all’occhio del viandante solitario? E non accadono forse dei fatti strani ed inspiegabili anche nella vita più comune? Il poeta trasfigura il mistero nella sua arte, e così nascono «Ertkoenig» e il buio infinito che circonda l’uomo nella poesia pascoliana; il popolo vuole darsene una ragione, e così nasce una logica del soprannaturale, che lo sguardo acuto del- lo studioso sa rintracciare anche nell'intrico apparentemente illogico delle super, stizioni tradizionali. E si nota allora che vengono a coincidere, per esempio, i prin-cipii di medicina dei clinici più illustri con e usanze terapeutiche degli agricoltori P'u semplici; e forse — con l’aiuto di 10 ~ queste non hanno minore efficacia di quelli. Anche a Momiano si pensa che vai meglio curare più e prima lo spirito che il corpo. Ma una conclusione risulta evidente — dopo che abbiamo seguito attentamente e con l’interesse che merita, questo recente lavoro del Cossàr: dalle Alpi al Carnaro «che Italia chiude e suoi termini bagna» uno è il popolo, disceso dall’antichissimo ceppo veneto, una la sua lingua, uno il suo spirito. Trovare ancora una volta dimostrata scientificamente questa verità è una gioia per noi, com’è compenso all’autore per tutta la sua lunga infaticabile indagine. Clelia Pirnet GIOVANNI FLETZEB - La moglie slava - Modena, Guanda Ed. 1940, XVIII; pp. 194 (1. 10). Quando uscì Prima iena, il volume che raccoglieva le poesie, facilmente si individuò in Giovanni Fletzer un felice e frequente incontro con l’infanzia. Oggi il narratore, come allora il poeta, guarda a quella stagione con ricchezza di echi, ne trae i motivi per comporre pagine affettuose. La delicatezza cantata che si svolgeva dalle liriche appare in questo libro trasportata su di un tessuto evocativo ove la prosa ha buon gioco. Il Fletzer tocca i suoi argomenti con cauta finezza, evita un’insistenza drammatica violenta e pur dove l’urto sembra inevitabile il linguaggio prende mosse evasive. Potrebbesi dire che il dramma è fatto tutto interno, non scoppia con manifestazioni esterne. I personaggi rivelano sempre un ritegno a dichiarare con violenza il loro sentimento: lo patiscono nei silenzio del loro animo. E’ appunto questo disegno sottile che forma la parte più notevole dei racconti del Fletzer, cui deve aggiungersi una sapiente descrizione deH’ambiente. Il tono più suo è quello evocativo: cioè un timbro in cui certi suoni arrivano ovattati e certi tratti non vengono messi a fuoco. C’è spesso quindi più l’abbozzo di una figura che il rilievo di un carattere. I gesti e le azioni sono dosati, risparmiati di frequente per un’attenzione più precisa-mente lirica che narrativa. Non si deve però concludere che questo evitare la forzatura psicologica opprima l’adesione al personaggio, pare piuttosto che ciò dipenda da un’avversione per l’eloquenza. Sicché nell’insieme il disegno del racconto per questa presenza lirica trova modo di resistere all’infuori di ogni termine limitativo, e permette di ricono-