PIERO STICOTTl e li ammonì a recarsi in silenzio al loro posto. Il Donaggio non sapeva se gridare o piangere: tanta era la commozione che lo aveva invaso e la felicità di averlo potuto vedere. Si seppe poi che il corpo dei volontari era composto di dieci reggimenti, un totale di 40 o 48 mila uomini. La dimora a Desenzano era causata, si diceva, a impedire uno sbarco di truppe nemiche; ma viste nel frattempo altre manovre fatte dalle cannoniere, si partì per Lonato, sparsi su diverse montagnole. Dal giorno che si accamparono a Desenzano, non si dormì più al coperto. Qualche giorno dopo partirono per Salò, poi per S. Felice. Per arrivare a Salò bisognava fare un tratto di strada fra i monti, poi un lungo tratto in vista del Lago di Garda. Appena vi arrivò l’avanguardia, le cannoniere nemiche la salutarono con dei colpi di mitraglia: il reggimento non indietreggiò di un palmo, ma avanzò a passo di corsa sino a che non venne totalmente in vista al nemico, anzi a bersaglio. La mitraglia scoppiava qua e là con orribile fracasso schiantando alberi, gettando in ¡sconquasso le campagne. Ogni tanto vedevano un lampo di fuoco, udivano una detonazione infernale, poi un sibilo di granate sopra le loro teste. Il colonnello Nicotera se ne stava intrepido a cavallo, fumando il sigaro, ad osservare il tiro delle cannoniere austriache. Si cominciava ad annoiarsi: questo nemico non lo si vedeva ancora. Sarebbero stati di riserva? Si era fatto l’armistizio? Intanto si era sparsa la triste nuova che nella battaglia di Monte Suello Garibaldi era stato ferito ad una coscia: allora si accrebbe l’ardire per il desiderio di vendicare il generale. Dopo un paio di giorni ricevettero l’ordine di marciare per il Trentino: marcie continuate di giorno e di notte, grande stanchezza. Passarono Rocca d’Anfo, traversarono Avennone, paesetti bellissimi, e arrivarono al Caffaro, antico confine italiano. La strada che si percorreva era stata conquistata a prezzo di sangue alcuni giorni prima. Arrivarono la sera del 15 luglio e si accamparono in prossimità di un villaggio. Stando agli ordini ricevuti si presagiva imminente un attacco: si doveva riposare con addosso armi e bagaglio; ogni ora si dava l’allarme. Scorgendo che le compagnie si schieravano in ordine di battaglia, il Donaggio e il Ferolli si salutarono con augurii. Dopo la mezzanotte una compagnia, che aveva ricevuto l’ordine di avanzare, ritornava con diversi feriti, perchè era stata sorpresa in un’imboscata. Verso le cinque del mattino del 16 luglio venne l’ordine di abbandonare l’accampamento. Si avanzava, almeno così pareva, sempre più verso il nemico. La compagnia del Donaggio ricevette l’ordine di marciare per la strada maestra che conduceva a Condino, mentre gli altri battaglioni e compagnie passavano per vie secondarie e occupavano posizioni importanti. Arrivata la sua compagnia a un certo punto, fu accolta da una viva fucileria; essa rispose con fermezza e coraggio, ma le palle dei volontari non arrivavano al segno; si sarebbe dovuto andare molto, ma molto più vicini al nemico, che si appiattava dietro muri e cespugli con fucili che colpivano tre volte più lontano. Il fuoco divampava su tutta la linea; il cannone dei garibaldini faceva ottimi servizi, ma erano già molti i feriti. Cessato che ebbero il fuoco dietro ordine ricevuto e visto che non si poteva snidare il nemico dalle sue posizioni, ìa tromba diede il segnale d’attacco alla baionetta e tutti si slanciarono a passo di corsa, al grido «Savoia! Viva l’Italia!» La 23.a compa-