NUOVO ACQUISTO 251 concesso di entrare a far parte, pur essendo indubbiamente vinte, a condizioni di privilegio della grande famiglia italiana dove potranno trovare quelle possibilità di vita che erano state loro negate proprio dai fratelli che dopo la grande guerra erano stati destinati dalle democrazie occidentali a formare la loro felicità. Anche in tale situazione però i nuovi cittadini hanno avuto continuai mente da lamentarsi che i loro interessi fossero misconosciuti, che il trattamento politico, sociale ed economico a loro riservato nello stato di nuova creazione non avesse tenuto conto delle loro necessità spirituali e materiali. Ebbene, liberati ora da quello che essi consideravano come un giogo insopportabile perchè imposto da una stirpe slava sì ma da loro considerata come inferiore per civiltà e per cultura, invece di respirare nell’aura nuova fra della gente che subito si è resa conto dei loro bisogni spirituali e materiali, fin qui, a loro stesso dire, conculcati per soddisfarli al di là di ogni legittima aspettativa, specialmente nel periodo cruciale in cui viviamo, hanno saputo soltanto mormorare prima, ricorrere ad azioni insensate poi. Bisogna pur dire che i popoli sentono talvolta la necessità di scosse violente per ravvedersi e imparare a proprie spese come si,deve vivere nelle mutate condizioni in cui la sorte, malauguratamente scelta di propria iniziativa, li costringe a trovarsi. Purtroppo gli slavi entro il vecchio ed entro il nuovo confine hanno conosciuto in fatto di dolorose esperienze soltanto la nostra magnanimità e la nostra comprensione di nazione civile conscia della propria potenza e con ciò stesso della responsabilità che le incombe nei confronti di quanti rientrano nella sua sfera d’influenza. Essi hanno avuto la fortuna di assistere, tranne poche eccezioni, da spettatori al grande conflitto del 1914-18, rimpanucciandovisi anzi, come tutte le popolazioni di carattere prevalentemente agricolo, nel particolare clima di disagio alimentàre che ha travagliato le potenze centrali bloccate dall’Intesa, e ne hanno ritratto guadagni impensati senza vedere gli orrori della guerra desolare le loro case. Unico danno la perdita di connazionali andati a combattere per il vecchio impero absburgico del quale del resto sono stati fino all’ultimo il più valido sostegno. Cessata la guerra, quelli che erano rimasti al di là dei nostri confini ebbero a sopportare il travaglio di un assestamento politico, sociale ed economico e per fino religioso che, invece di realizzare un’aspirazione nazionale unitaria, doveva risolversi in un trascurato e disordinato tentativo di amalgamare bisogni ed esigenze per molteplici aspetti diverse e contrastanti, concretandosi in definitiva in un ordinamento caotico dove l’elemento indigeno era trascurato, vilipeso e pregiudicato nel suo sviluppo religioso, politico, sociale ed economico. Restava soltanto in fondo alle anime loro il sogno accarezzato per tanti anni di una lezione da dare al vicino che s’era permesso prima di tradire e di abbattere l’impero del loro cuore e poi di strappare alla patria jugoslava, accettata solo in questo campo, dei figli che le stavano a cuore e quel ch’è più l’accesso a quei porti dei quali la propaganda, alimentata da un fuorusci-tismo mantenuto in casa, farneticava come di terre spettanti al nuovo mosaico balcanico. Nessuno potrà negare che la regione ora annessa non sia stata per decenni il centro di raccolta e di distribuzione di tutto quanto si è dichiarato