ARTISTI GIULIANI ALLA XXII BIENNALE 39 E veniamo a parlare dell’unico scultore di queste provincie invitato alla mostra: Ugo Cara. E’ un numeroso e bel complesso di opere che lo rappresenta: a non contare i disegni la saletta ch’è completamente sua raccoglie diciannove fra figure e teste, bronzi e bronzetti, marmi e legno. La produzione, come dicemmo, si presenta tutta in una linea di chiara distinzione. Vi sono ottimi nudi, come quello dell’«Atleta» di agile e spigliata movenza sebbene accusante una certa generica tradizione, come la «Danzatrice» di allungata eleganza, come «Commiato». Di delicata e piacevole fattura i bronzetti: «Donna», «Pugile», «Vento della riviera», «Eroe dell’aria», e di svelta grazia decorativa le figurette muliebri in legno. Ma dove l’arte di Ugo Carà eccelle è senza dubbio il ritratto: alcuni suoi busti sono schiette e forti opere che possono onorare qualunque artista. Notiamo fra i migliori «Giulia» che un panno piegato a libro sul capo fa assomigliare a una ciociara: splendido bronzo di un carattere sapientemente interpretato tra l’antico e il moderno; la testa virile segnata con il n. 6, già apparsa a una mostra triestina, del più scarno ed efficace vigore, e cui la materia stessa del legno pare contribuisca a dare la ferma espressione tagliente; «Marina», un busto in granito di quel chiaro e sintetico stile che più sopprime particolari e più aggiunge efficacia. Altri eccellenti ritratti: «Vecchia», un legno fra i migliori e il busto marmoreo n. 15, incisivo nel modellato e nella ricerca psicologica. Tenendo sul primo piano specialmente questi busti d’alto valore, è questa davvero una mostra degna. Un’altra vasta personale è quella del pittore Eligio Finazzer Fiori. Veramente il Finazzer, professore di pittura a Napoli da quest’anno, fa attualmente parte del gruppo partenopeo. Ma nato e vissuto sempre a Trieste, noi lo contiamo legittimamente come nostro. Venti quadri di notevole mole e di nobile impegno. Bel colore, tinte gaie, larga varietà di soggetti. Fra le figure predomina la giovinezza muliebre, fra le naturemorte la policromia dei fiorì, fra i paesaggi le vedute di mare. Come nelle figure non si approfondisce molto l’espressione, così fra i colori soavi non incidono molto volume e chiaroscuro. Il pittore ama una visione dolce, vagamente sognante, un po’ facile della vita: così dolcemente facile è quest’arte che non rivela certo scavi d’indagine, problemi difficili, novità ardite di soluzioni. Concezione piacevole, forse un po’ monotona e naturalmente tendente al decorativo. Fra le figure più sostanzialmente belle porrei «Giubbetto rosa» per il profilo inciso ed energico di quella ragazza e per l’armonia tonale di quel viso bruno e di quella veste rosa, e «Ragazza del circo», altro buon ritratto muliebre, su una tonalità verde gialla molto indovinata. E buoni quadri sono «Nota agreste», «Frutta e figure», «Estate»; con una profluvie di frutta i due primi, due donne seminude sdraiate davanti la spiaggia il terzo: colore abbondante in tutti. Ma a tanta carne cromatica manca forse un po’ di scheletro chiaroscurale e di respiro spaziale. A un tale temperamento riescono certo più perfette le naturemorte: e ce n’è d’un chiaro novecentismo disegnate ed equilibrate, come i «Cedri», di uno spumeggiare fresco e leggero come i rossi tulipani e i bianchi lillà del «Vaso celeste», e di una semplicità decorativa naturale come le «Begonie». E aggiungiamo ancora «Rosa e blu» e le «Rose della sposa». Non da lasciar ultimi i paesaggi, fra i quali darei la palma alle ampiezze marine e primaverili di «Posillipo», dell’«Arenella», di «Villa Rotondo». Bene interpretato il volto d’una città invernale in «Neve a Napoli».