DAL DIARIO DI UN GARIBALDINO SI reggimento era destinato a uno sbarco in Dalmazia e chiudendo il suo dire con un evviva aH’Italia, cui fecero eco entusiastica gli evviva dei volontari. In quella notte il Donaggio non dormi che poche ore, poiché dovette andare come ordinanza all'ufficio di maggiorità. Alla mattina la tromba suonò la riunione: era l’ordine di partire nuovamente per Bari. Nel Trentino A Bari ricevettero l’ordine di partenza per la loro destinazione e il reggimento venne schierato lungo il Corso Vittorio Emanuele, dove ciascuno ricevette quaranta cartucce. Un generale della truppa regolare lo passò in rivista. Al passaggio dei garibaldini per le vie della città la folla li acclamava agitando cappelli e fazzoletti, e i volontari cantavano a una voce la canzone del Bosi: Io vengo a dirti addio: l’armata se ne vai Ma giunti alla stazione seppero che erano diretti per il Trentinol E lo sbarco in Dalmazia? E il discorso del loro colonnello? In ferrovia si stette molto male, pigiati e in gran caldo, durante tre giorni e due notti. Si passò per Milano e si arrivò finalmente nella patriottica città di Brescia. Alla stazione c’era gran ressa di popolo salutante. Rimasero schierati nei pressi della stazione: fatto il fascio-arme riposarono, ma per poco. Venne l’annunzio dei primi feriti di Custoza. E non tardarono molto ad arrivare, primi i bersaglieri. I garibaldini andavano loro incontro per soccorrerli in quanto potevano e per offrir loro ciò che contenevano le loro borraccie. Più in là si udirono delle grida di evviva: era il principe Amedeo che arrivava, ferito anche esso. Si sentiva ognuno dire la sua intorno la battaglia, ma quella che era in bocca di tutti diceva che il Generale Lamarmora aveva telegrafato a Garibaldi «Coprite Brescia». Era vero? I volontari partirono il giorno stesso per Desenzano, dove si accamparono in un gran prato: nessuno poteva uscire dall’accampamento, custodito da sentinelle, e dovettero accontentarsi di guardare i monti del Trentino, il magnifico lago e il castello di Sirmione; ma quello che più attirava la loro attenzione erano quattro cannoniere austriache che spiavano al confine. I garibaldini rimasero colà un paio di giorni, ed ecco che la natura volle offrir loro una buona razione d'acqua piovana, tanta che sembravano di aver preso un bagno vestiti: a nulla giovò il ripararsi in certe capanne costruite con grossi pali e rami di gelso. Del resto si aveva bisogno di una rinfrescata! Intanto le discussioni sulla guerra incominciata si facevano sempre pjù animate: i più ottimisti erano i due amici Donaggio e Ferólli. Tra i volontari c’erano non pochi che avevano fatto le campagne del ’59 e del ’60 e con questi i nostri s’intrattenevano a discorrere sulla guerra e sulla persona del Generale Garibaldi. Uno diceva: «Lo vedrete! Quale fascino produce nell'animo dei combattenti al solo mostrarsi! Bisogna vederlo sul campo ..In quella si videro tutti i garibaldini correre verso i posti delle sentinelle: era la carrozza di Garibaldi che passava lungo l’accampamento. Fu un grido di evviva generale. Quando poi si seppe che egli aveva preso alloggio in un albergo vicino, tutti, trasgredendo l’ordine di non varcare il confine assegnato si precipitarono colà ad acclamarlo. Egli si affacciò al poggiuolo interno guardandoli un poco disse che le loro grida erano intese dal nemico