ARTISTI GIULIANI ALLA XXII BIENNALE 41 che la sua fu una delle più chiare rivelazioni di quella mostra), anche qui fa onore al suo nome. Il modellato per larghi piani, l’adesione alla realtà senza concessioni a minuzie inespressive, il carattere inciso e insieme pacato fanno di questo busto uno dei ritratti di più sicuro valore. Franco Asco ebbe accolta una statua marmorea; «Anadiomène». Come il soggetto mitologico e simbolico invitava, lo scultore dà alla figura muliebre un carattere essenzialmente decorativo; forme belle di generica bellezza, corretta eleganza di linee: l’autore non s’era proposto di più. E molto di solito non si domanda a un’incisione: veramente qui l’indulgenza non è giustificata: per un’incisione d’arte in una rassegna come la Biennale il gusto può e deve essere esigente. Abbiamo disegni e incisioni che non hanno nulla da invidiare alle più complesse opere pittoriche: valgano per tutte le incisioni e le acqueforti del Dürer, e, poiché siamo a Venezia, ricordiamo i superbi disegni del Piazzetta. Non vorremmo con simili citazioni mettere in imbarazzo la squisita incisionista ch’è Marina Battigelli (il catalogo la ricorda nata al Cairo e vivente a Firenze, ma è oriunda triestina e cittadina triestina fu gran tempo), ma bisogna pur dire che le tre puntesecche ch’essa presenta, sono del tutto degne della grande competizione veneziana. Abbiamo già visto di lei a Trieste qualche pittura che era forse non molto interessante appunto per quelle qualità che rendono eccellenti questi disegni. Sono tre svolgimenti dello stesso soggetto, la «Bonifica»; il disegno è molto piacevole senza cadere nel lezioso: e c’è un vero estro inventivo e pittorico nelle tre composizioni. Forse ricorda un po’ la delicatezza miniata di certe incisioni inglesi, pur mantenendo intera la propria indipendenza. C’è qui, mirabilmente reso, il senso delle distanze e la vastità degli orizzonti: ed efficace è il segno che suggerisce l’immobilità delle acque di stagni e paludi. La Biennale apre ancora le porte a un nostro medaglista principe; Giovanni Mayer. Non è scultore alle prime armi: il nostro Mayer è uno degli artisti le cui opere hanno da tempo un nobile posto nelle maggiori nostre gallerie a cominciare da quella d’Arte moderna in Roma. E’ un ottocentista del quale la storia dell’arte giuliana e, perchè no?, quella dell’arte italiana deve e dovrà ricordarsi. Diciamo ottocentista perchè così vuole la cronologia. ma il Mayer è scultore che sta bene in una sala novecentista come in una della fine del secolo scorso: chi produce opere vitali parla un linguaggio che approvano tutti. Il «Lanciatore di palla di ferro» che include il plastico magistrale contorno nel tondino della- sua medaglia, è invenzione di squisita finezza e di robusto modellato insieme. Fa pienamente onore, insomma, al suo nome Nel concorso per un soggetto veneziano si potrebbe legittimamente parlare d’un altro giuliano, e d’un pittore fra i più noti d’Italia: Italico Brass. Ma Italico Brass, ch’è nato a Gorizia giusto settanta primavere or sono, ha dichiarato sua città elettiva Venezia. E s’egli preferisce Venezia e Venezia ne è giustamente fiera, non vorremo riprendendolo con noi far torto all’uno e all’altra. Ma insomma nemmeno i giuliani hanno torto rivendicandolo un po’ per sè. Ora il Brass è uno dei più autentici e cari interpreti della forse più amata città del mondo. Lo spirito settecentesco e goldoniano venato della romantica tristezza di Giacinto Gallina e di Riccardo Selvatico parla nelle sue tele cui il Guardi e il Tiepolo hanno dato più d’un suggerimento e consiglio. Il giuliano-veneziano pittore è nella grande tradizione lagunare e d’altra parte parla un linguaggio moderno e bene suo: è insomma pittore