110 FATTI, PERSONE, IDEE («Piccolo», 4, II, ’41); — il sottoten. Alberto Padoan, triestino, sul fronte greco; — il ten..di macchina Ernesto Licinio Versa («Piccolo», 5, II, 41); — il marin. 2.o capo segnalatore Remigio Doria («Piccolo», 24, I; 11, II, ’41); — il ten. Silvano Buffa, triestino; — il ten. Stefano Iosa, triestino; — il ten. Ugo Gorini («Piccolo» 4, III, ’41); il capomecc. Nicolò Gerenti («Piccolo», 12, III,); il sottot. Aulo Zuanni (proposto per una med. d’argento, «Piccolo», 19, IV) ; — il tenente Umberto Ranzatto, triestino, studente universitario («Piccolo», 25, 26, IV). Sul fronte greco, alla testa della propria compagnia, il capitano Giovanni Scala, dell’8.o Reggimento Alpini («Piccolo», 13, XII, ’40). — Sul fronte nord il tenente pilota Arrigo Vardabctsso, istriano di Buie («Piccolo», 12, XII, ’40). — Il capo meccanico Enrico Rossini, triestino, accompagnò nella morte il suo comandante Jaschi, pure triestino («Piccolo», 29, I, ’41). Appena giunta la notizia che il marin. Alfonso Caradonna, triestino, era caduto in combattimento, suo fratello Antonio manifestò subito la volontà di arrolarsi per prenderne il posto («Piccolo», 10, I, ’41). Si distinsero per esempi di valore nelle azioni del canale di Sicilia il marin. Giovanni Mercandel da Mug-gia, il marin. Adriano Vatta di Trieste e il cannon. Mario Paoletti di Santa Lucia («Piccolo», 21, I, ’41). Figlio di un capodistriano era anche il gen. Aldo Pellegrini, rimasto vittima della caduta di un apparecchio militare nei pressi di Acqui, insieme col gen. Pintor («Piccolo», 12, XII, ’40). Il sottot. triestino Francesco Viz-zini fu della prima pattuglia italiana entrata in Corcia il 14 aprile («Piccolo», 20, IV). Il ten. dei bersaglieri motociclisti, Bruno Monciatti, triestino, figlio del nostro stampatore, comandava il plotone di quel 4° Reggimento Bersaglieri (due volte citato nel bollettino) che, avvenuto lo sfondamento del fronte jugoslavo ad Ocrida, s’incontrò col reparto del Reggimento Hitler, attuando così il congiungimento delle forze italo-germaniche e separando l’esercito serbo dal greco. («Piccolo» 24, IV). Chiarimenti sull’ irredentismo triestino Mario Appelius, nel suo articolo «Roma-Berlino» pubblicato sul «Popolo d’Italia» dell’ll marzo, scriveva: «Coloro che in Italia non avessero ancora relegato in soffitta fra i vecchi rottami di casa il sentimento anti-absburgico del primo Risorgimento sono indietro di molte lunghezze sul velocissimo cammino della Storia, la quale brucia vertiginosamente le tappe. «Nel secolo di Mussolini e di Hitler è impossibile conservare la mentalità degli antichi sudditi dei Ducati di Parma e di Modena. Lo stesso nobilissimo irredentismo triestino non ha più ragione di sopravvivere al fatto compiuto. Il suo dovere è di polarizzarsi verso le altre terre italiane non ancora redente sulle quali sventola la bandiera della Francia e quella odiosissima dell’Ingliilterra.» Così scrivendo dell’irredentismo triestino, Mario Appelius evidentemente sfonda una porta aperta. Il vecchio irredentismo triestino, quello che mirava alla redenzione delle terre giulie, ha ammainato le sue bandiere sui colli di Vittorio Veneto nell’autunno del 1918. E superato il fatto contingente della liberazione di Trieste, è rimasto nella sua espressione di un’idea forza non più saturata di sentimento antiaustriaco, ma rivolta al completamento della nostra unità nazionale, all’espansione della nostra potenza nel mondo quale ne dà diritto l’altissima nostra civiltà e la nostra pressione demografica, allo scardinamento delle porte di Gibilterra e di Suez che imprigionano l’Italia nel mare di Roma. La lotta contro gli Absburgo a Trieste è ormai dimenticata, e bene dimenticata. Le centinaia di legionari che Trieste mandò a Fiume nel 1919 non li mandò contro il fantasma di