RICORDI DI TRIESTE AL TEMPO DELL’AUSTRIA 211 antologia di romanticismo adriatico, uno ricordo ancora che mi parve il più bello e commovente. Riguardava il famoso processo di Graz. Un gruppo di giovani era stato arrestato qualche anno prima, sotto la imputazione di alto tradimento e le carceri di Trieste li avevano accolti nell’attesa di trasferirli a Graz per il processo. Tre di loro erano stati serrati nella medesima stanza, due giovinetti ed un uomo anziano, uomo allegro ed accorto che preparava in carcere la linea di condotta più giovevole per il dibattimento. Di tanto in tanto i reclusi sentivano il bisogno di accostarsi all’aria libera e si avvicinavano alla finestra della cella per vedere attraverso le stecche rovesciate delle persiane qualche striscia di cielo. Una delle stecche era rotta; la incuria dei guardiani non aveva provveduto a ripararla, e del resto dalla spaccatura i prevenuti, che erano all’ultimo piano del carcere, non potevano vedere che una finestra del palazzo di fronte, una finestra della fila più alta. Piccola, innocua distrazione, per quei sognatori di libertà. — Chi starà mai lassù? Il recluso più anziano si ripeteva spesso quella domanda stando in vedetta ore intere a scrutare se qualcuno si affacciasse al davanzale di fronte che era dalla mattina alla sera inondato di sole. Nessuno. Tutti e tre i prevenuti erano di Trieste. Si misero dunque a cercare chi potesse essere la famiglia che abitava quella casa chiusa e deserta, ma non venivano a capo di nulla. Sarà qualche famiglia che si gode il mare e la campagna, i beati inquilini saranno forse sdraiati sulle spiagge di Grado o di Portorose, può darsi che stieno godendo l’aria delle montagne alpine o che partecipino, felici, a qualche crociera. C’è sempre nel mondo chi si gode la vita accanto a chi patisce per un ideale, ci sono gli asceti, i combattitori, qualche volta i martiri, accanto a schiere infinite di animali ben pasciuti e pensanti. Quale antipatia finiva col suscitare quella finestra chiusa mentre passavano lenti e dolorosi i giorni della detenzione! Ma ai primi di Settembre, a un’ora del tramonto, la finestra si spalancò e vi comparve una bimba di dieci o dodici anni colle trecce sulle spalle, e che, incrociate le braccia sul davanzale, stava guardando la strada e la contrada che il sole tingeva delle ultime luci. — Una bambina, è una bambina! I tre prigionieri erano rimasti a guardarla e non odiavano più la finestra chiusa; da quando li avevano chiusi dentro al carcere era la prima creatura femminile che vedevano e pareva loro di ascoltare una bella canzone o di udire una musica elettrizzante. — Bisogna parlarle — era il pensiero di tutti. Dalla apertura della finestra poteva passare benissimo un braccio e la fanciulla avrebbe potuto vedere le facce dei tre carcerati, però era ben difficile che al primo segnale la bambina non fosse fuggita per timore di essere in relazione con galeotti. Se quella finestra si fosse richiusa sarebbe stato un acerbo dolore ed una grande disillusione. Eppure bisogna provare; il più anziano dopo molta riflessione aveva avuto una sua idea. Si era fatto dare un pezzetto di tavola che, giaceva in un angolo della cella e col carbone vi aveva scritto sopra qualche cosa a caratteri grossi nascondendolo poi sotto il pagliericcio. Ai compagni che lo interrogavano rispose semplicemente: — stasera le parleremo