FATTI, PERSONE, IDEE 51 Per quanto questa specificazione sembri attenuare l’asserzione prima del Rugo, appare pacifico tuttavia che egli richieda dagli scrittori triestini non qualche cosa di universale, come si richiede da qualsiasi artista, non qualche cosa di nazionale, come si richiede da qualsiasi artista italiano, ma qualche cosa di regionalistico, anzi, di cittadino, qualche cosa che senta di campanile. Gli scrittori triestini sono avvertiti. I regionalismi in Italia sono morti, ma gli scrittori nostri sono tenuti a metter nei loro libri almeno un po’ dell'ombra del campanile triestino, c’entri o non c’entri con l’argomento trattato. Se non lo faranno, saranno senz’altro messi fuori di discussione, almeno in certi angolini nei quali, in omaggio al color locale, non si concede agli scrittori nostri di essere scrittori italiani. a- 9' Teatro „Guf" di Trieste Massimo Rota, che ha recentemente vinto un concorso con una sua commedia, Questo e nient’altro, recitata già due volte e sempre con successo dai nostri filodrammatici, scrive ora nelle Ultime Notizie (28, I, ’41) un bell’articolo per mettere in rilievo la brillante affermazione del Teatro «Guf», che sotto la regia dello studente Alfredo Todisco, ha rappresentato (25, I) il dramma di Siro Angeli «Dentro di noi». La giovane compagnia goliardica, composta di buoni elementi e preparata con grande impegno e serietà, ha saputo far apprezzare il valore di questo dramma ispirato ad uno dei motivi più importanti del programma sociale fascista: dare al lavoratore «la casa», che, per il suo assetto conforme ai progressi della civiltà moderna, sia come il tempio della famiglia, il premio della fatica, il compenso d’ogni inevitabile temporanea rinuncia. Ma anche la realizzazione di un sì nobile ideale può cagionare delle tragedie, e sono quelle che nascono quando non si sanno equilibra- re l’aspirazione al possesso della casa con l’aspirazione al godimento della famiglia. Per l’amore della casa non si deve perdere l’amore della famiglia. Siro Angeli ha impostato felicemente il problema, individuandolo in un conflitto tra padre e figlio (padre simbolo della casa, figlio simbolo della famiglia) e felicemente risolvendolo: altrettanto felicemente riuscita è l’interpretazione dei filodrammatici universitari (Fragiacomo, Strudthoff, Cano, Perco, Rregant nelle parti femminili; Todisco, Braida, Pascutti, Marcorini, Pastorini nelle maschili). Di un solo particolare non sappiamo renderci conto. La finale del dramma, quale figura stampata nella edizione procuratane da «La Panarie» (Udine, 1939-XVIII, pg. 134), fu sostituita, nella rappresentazione, da una variante, che potrà essere più commovente, ma che menoma l’energia con la quale il padre aveva riaffermato, nella conclusione del dramma, l’idea centrale da lui impersonata. Logicamente ed esteticamente il dramma guadagna col gesto di quel padre che, rimasto solo sulla scena, «si getta con tutto il Corpo contro la parete, spalanca le braccia come volesse abbracciarla tutta», la sua casa, e «accarezza i muri con le mani come fossero una creatura viva». La variante introdotta nella rappresentazione triestina (variante voluta dall’autore o da chi si sia) ha tutta l’aria di una concessione alla mediocrità borghese del teatro vecchio stile e non corrisponde agl’ideali artistici di Siro Angeli che mirano a superarlo. La morte di un patriota dalmata E’ morto improvvisamente a Roma Arnaldo Bacotich, nato a Spalato, direttore dell’«Archivio storico per la Dalmazia», ch’egli aveva fondato insieme al compianto senatore Antonio Cippico. («Popolo d’Italia», 30, XI, ’40).