BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 12S Andronioo da Parenzo, Bernardo Messalto da Muggia, il teologo fra Lodovico da Pi-rano, Giovanni e Cristoforo Tarsia da Capodistria, Damiano da Pola, Caroto Vidali da Pirano, che è il discepolo prediletto del Baratella, il fratello di lui, Giovanni ed un altro piranese, Nicolò Foia. Da questo semplice elenco dei corrispondenti del Baratella, cioè di un singolo umanista, vissuto per non molti anni nelle nostre terre, è logico dedurre di quale importanza fosse l’umanesimo istriano e quale vasto campo di ricerche esso possa offrire ad uno studioso accurato e tenace. Giuliano Gaeta DARIO DE TUONI - Il viaggio in Italia di Arnold Heeren (1785-1786) -Estratto dalla Rivista «L’Urbe», Anno V, N. 4, Roma, Casa Ed. Fratelli Palombi 1940-XVlII, pp. 14. Wolfango Goethe, è noto, lasciò d’improvviso Karlsbad spinto dal desiderio tormentoso di visitare l’Italia e per la gioia di «scoprirla» e frutto di questa «scoperta» fu quel Viaggio in Italia che fu più volte tradotto in italiano. Un anno prima, e cioè nel 1785, un altro tedesco, lo storico Arnold Heeren, con ben altri intenti — quello che spinge lo studioso e non l’artista — partiva da GSttingen verso il nostro paese. Il suo viaggio è stato da lui stesso ricordato nelle memorie che egli scrisse nell’età, di sessantun anno. Il de Tuoni ha trovato 'che queste sue pagine, non molte, contengono tuttavia «notizie spesso importanti e per la storia del nostro Settecento in generale e per quello particolare di alcune città», quindi ha creduto che fosse bene farle conoscere e ci ha dato questa monografia degna della più viva attenzione. A dare uno scopo di studio al viaggio del Heeren fu il suo amicò e compagno universitario Thomas Christian Tychsen, che tornava dalla Spagna con le note di una collazione di egloghe dello Stobeo, compiuta su di un manoscritto esistente all’Escuriale, note che egli lasciò allo Heeren. E dato che i manoscritti di quelle egloghe si trovavano in Germania, Italia, Francia, ecco che egli nel suo itinerario doveva di necessità passare per il nostro paese. Passò per Trieste e per Venezia, e delle due città ebbe impressioni che non possiamo sorvolare. Il soggiorno a Trieste, divenuto dopo la proclamazione del porto franco una pericolosa concorrente di Venezia, egli lo asserisce «gradevole e istruttivo, se non dal lato letterario, per altre ragioni», e fu ammaliato dalla bellezza del mare Adriatico, del golfo triestino, dello stesso porto «zeppo di navi provenienti quasi tutte dal Levante». Antitetica l’impressione di Venezia, che a questo tedesco apparve quale «città meravigliosa, che a tutta prima sbalordisce, ma che ben presto ristucca», quale «invecchiata repubblica» in cui «la vetustà si rivelava in ogni cosa, e in modo particolare nel oonfronto con la giovane e fiorente Trieste». Il de Tuoni rievoca il pellegrinaggio del Heeren per l’Italia, le sue collazioni, il lungo soggiorno a Roma, i larghi appoggi trovati fra cui quello del cardinale Borgia, per il quale lo studioso tedesco nutrì sì caldo affetto da dedicargli, quale «modesto tributo della sua riconoscenza» il primo volume dei Joannis Stobaei Eclo-garum Physicarum et Ethicarum libri, uscito nel 1722. Ci dice il de Tuoni che nella relazione del Heeren noi «cercheremmo invano una esperienza paesistica o folcloristica», ma invece i fatti esposti «con umiltà di stile, pari alle serene impressioni che n’ebbe», e «se un’esaltazione vi era in lui, essa era puramente umanistica». Però soggiunge che ciò non toglie che egli dissemini in qua e in là notizie importanti per la storia culturale del nostro settecento, e che per questo valore integrativo il racconto del suo viaggio merita di essere considerato. E che io meriti veramente, questa monografia già lo dimostra a sufficienza. Giuliano Gaeta CELESTINA (CELESTE DELLA MORA), Arpa eòlia (liriche) - Pordenone, Tip. S. A. Arti grafiche, 1941-XIX, pp. 48 (1. 8). Leggevo, nel «Meridiano di Roma», poco fa (VI, 11), che «da più parti si avvertono rigogliosi i sintomi di un gusto mutato, per una forma più semplice, più chiara, più umana, tale, insomma,, che diluisca il parlare chiuso in discorso aperto». Mi tornano a mente queste parole, scorrendo il volumetto di Celeste Della Mora, al quale ella volle dare il titolo di Arpa eòlia, per mettere bene in chiaro ch’ella tiene soprattutto a non appartarsi dalla gente in mezzo alla quale vive, ma se ne considera Invece il portavoce o l’interprete. (E, a quanto mi di-