«LA GUERRA MONDIALE NEL ROMANZO TEDESCO» 225 Il fatto che nella letteratura tedesca del nostro secolo molti scrittori abbiano polarizzato la loro attenzione intorno a questo problema non deve recar meraviglia. In primo luogo perchè, -appena urga la soluzione di un problema, lo spirito tedesco vi si attacca tenacemente, sceverandolo in tutti i suoi aspetti per penetrarne l’essenza; in secondo luogo, perchè, appunto nella Germania del dopoguerra, questo problema venne a rivestite un particolare carattere di gravità. Sebbene non nuovo nemmeno nelle sue più recenti manifestazioni, perchè ha le sue radici già nella critica alle condizioni della gioventù nell’èra guglielmina, tale problema costituisce quasi un fatto particolare del mondo tedesco. Ciò si spiega perchè in Germania, più che altrove, venne risentito l’effetto della catastrofe, che doveva togliere, assieme alla libera disponibilità di sè, ogni possibilità di vita alle generazioni giovani di ritorno dalle trincee e, più ancora, a quella cresciuta nell’aurora sanguigna dj un dopoguerra che aveva bagliori di tragedia più vasta del conflitto appena terminato. Se nella letteratura prebellica il problema era stato visto come un problema di educazione, quindi da un lato eminentemente spirituale, e la, sua possibile soluzione escogitata in riforme che tenessero conto dei bisogni delle nuove generazioni, per natura diverse nello spirito e n.ei metodi dalle generazioni vecchie, durante la guerra e ben più nel dopoguerra esso si profila in tutta la sua tragica imponenza esigendo non più soltanto una soluzione spirituale ma una soluzione che permetta ai giovani di affrontare le necessità della nuova vita creata dalla sconfitta. Va da sè che la generazione, procreata nei brevi momenti rubati dai padri alla morte e al travaglio della lotta, veniva a trovarsi rovinata perchè privata delle basi necessarie alla vita causa la mancata vittoria. Era logico quindi che essa, appena raggiunta la capacità di criticare, riversasse tutta la piena della sua amarezza sui padri che non avevano saputo vincere o che almeno non avevano saputo evitare la guerra. I partiti,estremisti, sempre in agguato per guidare ogni movimento contro l’ordine costituito, dovevano naturalmente approfittare di questo sentimento, che in un primo tempo era soltanto di carattere morale e non traeva la sua diretta origine dall’esito della guerra, avendo le sue radici più profonde nell’incontentabilità umana gigantescamente accresciuta nei suoi desideri e nelle sue aspirazioni. Questa massa incomposta di sensazioni e di aspirazioni che la gioventù di ogni epoca e di ogni latitudine ha sentito sempre in sè, tendenza che è, ove ben si pensi, il lievito della vita, la linfa feconda che rende possibile il progresso con lo scavalcamento delle gènerazioni usate e logore, doveva fatalmente sboccare in movimenti disordinati e più dannosi che utili a coloro stessi che li provocavano. E ciò specialmente in un paese in cui anche le normali risorse di una vita internazionale come quella goduta dagli altri grandi stati europei, pur nel travagliato caos del dopoguerra, erano venute a mancare. Gli uomini che avevano accettata la guerra, indifferente la loro tinta politica, subivano l’onta di una pace, che doveva porre il loro paese al livello di una colonia ed avvilire essi stessi al rango di servi agli ordini del capitalismo internazionale. Come spesso succede il problema invece di venir posto sulle vere sue basi, venne invece impostato diversamente. Si trovò utile e conveniente di sfruttare ad altri fini, che non fossero quelli naturali della rinascita del