BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 129 che l’Ungheria, mutilata e tormentata ma libera e indipendente, ha scelto per proprio inno nazionale!» Chi l’abbia composta originariamente, non è bene assodato, dice l’A., ma pare che l’autore ne sia stato lo tzigano Miohele Barna e che fosse stata suonata dal violino nostalgico di Czinka Panna davanti ai fuochi da bivacco dei «Malcontenti», capitanati dall'eroico Principe, di cui porta il nome». E più oltre: «Se quasi tutti gli inni nazionali valgono ad esprimere il carattere psicologico dei rispettivi popoli, ciò si verifica in sommo grado nella marita di Rakoczi, magiara al cento per cento. Essa è una musica eminentemente cavalleresca; inquantochè riproduce con efficace armonia imitativa l’incalzante scalpitio d’un reparto di cavalleria lanciato a briglia sciolta in una vasta pianura, alternando il trotto serrato col galoppo ventre a terra; vi si sente l’ondeggiamento di questa marea guerriera che s’allontana verso un orizzonte crepuscolare; oltre al rullo degli zoccoli ferrati sul terreno, vi si sente echeggiare il nitrito di quei nobili animali ed il tintinnio delle armi. Essa esprime il selvaggio entusiasmo del centauro che s’inebbria di velocità e di ardore guerriero partecipando alla forte vitalità del destriero che inforca. Un ascoltatore sensibile comprende per istinto che quell’antica musica deve ricordare lontani atti di coraggio, passati momenti d’ebbrezza nazionale, sacrifici compiuti col sorriso sulle labbra». La vita deil’Eroe Rakoczi è una continua ascesa di glorie, vicende non prive però di tormenti nelle tante vicissitudini. Il principe Francesco II Rakoczi era il fascinatore del suo popolo e con acuto spirito osservatiyo l’illustre Berlam si compiace di farne qua e là il parallelo con la formidabile pur essa figura di Luigi Kossuth. Il Rakoczi amò svisceratamente, puramente e, ciò che più conta, disinteressatamente il suo fiero e cavalleresco paese'. Soffrì per altezzoso trattamento della Corte di Vienna, per le beghe della politica mentre il suo sentimento patrio era d’una profonda idealità, d’un’ideali-tà davvero sublime. Meritano essere trascritte queste righe tratte dal famoso manifesto passato alla storia col nome di „Recrudéscunt” dal Rakoczi compilato in lingua latina (lingua che rimase officiale in Ungheria sino alla metà del secolo scorso) e che doveva chiarire la questione ungherese all’estero. Il manifesto, osserva l’A., era più che altro un atto diplomatico anziché un appello al popolo. Ho detto che la sollevazione rakocziana costituiva un fascino nei nobili cuori che la intendevano. Povera, esulcerata Ungheria di allora ! Ecco un brano del manifesto: «L’origine prima di tante sollevazioni è stata ed è tuttora la violazione illegale delle leggi patrie, giacché appena gli austriaci credettero di se'ntire, in seguito ad abili raggiri, il nostro Regno un poco più malleabile, volevano con quel loro spirito di dominazione che aumenta di giorno in giorno, considerare la loro volontà come unica legge. E dopo che essi ebbero annientate alctìne delle più nobili famiglie di razza magiara, quand’essi si furono impadroniti dei loro beni, quando ebbero ritolti gli uffici alla nostra gente, introdotte leggi straniere, imposte delle contribuzioni esorbitanti, eoco che essi cangiarono, con ardita trasformazione, la libera elezione dei Re, che vigeva da secoli, in un governo ereditario, destinato a puntellare la potenza del regime dispotico ed assolutista; nello stesso tempo si abrogò quella legge creata dal grande Re Andrea II, che autorizzava la resistenza armata contro qualunque Re dhe avesse violata la Costituzione e che sino allora era stata il massimo delle libertà statutarie e delle prerogative di tutte le classi e di tutti gli ordini sociali. Chi non vedrebbe senza grande dolore una nazione guerriera che sino ai nostri giorni è stata il principale baluardo della Cristianità contro gl’infedeli, e ciò in grazia a spese ed a sforzi inauditi ed allo spargimento del suo sangue migliore, non potere ora più disporre delle sue proprie dignità militari? E ciò a dispetto del valore ungherese e delle leggi più esplicite del Paese! Ed è per questo procedimento inammissibile ed illegale che ora si troverebbero a mala pena una o due delle nostre fortezze che siano comandate da Ungheresi !» Minuzioso e fedele è il racconto del Berlam fino a descriverci gli ultimi anni di vita di uno tra i più cari figli dell’Ungheria. Con gioia il 13-XI-’38, dopo molti anni di dominio straniero, la storica città di Cassovia è ridiventata ungherese in merito alle decisioni dèi Paesi dell’Asse. Il principe Francesco II Rakoczi, l’eroica, inclita e soave madre sua Ilona Zriny, i suoi fidi compagni d’arme e di lotta e il figlio suo Giuseppe riposano dal 1906 in quella città. E IMI novembre 1938 S. A. R. il Reggente d’Ungheria ammiraglio Nicola Horthy di Nagybànya entrò solennemente (nel volume è riprodotto il quadro di Aba Novàk «Ingresso di S. A. S. Horthy a Cassovia», quadro che s’ebbe il Premio del Duce, alla XXII Esposizione internazionale d’Arte di Venezia) nella Sacra città