28 PIERO STICOTTI Enrico Ferolli Enrico Ferolli nacque a Trieste nel maggio del 1841; il padre suo era di Spilimbergo, la madre triestina. Apprese l’arte nella tipografìa Marenigh (5); passò poi a lavorare nello stabilimento Stallecker e quindi nella tipografìa Amati, nella quale redigeva il suo giornale «La Sferza» il famigerato Luigi Mazzoldi, soprannominato il ragno (6). Per scarsità di lavoro si recò a Zara, donde fece ben presto ritorno in patria: ma nell’ottobre del 1865 deliberò di partire per Roma in compagnia di un amico, tale Giacometti. A Roma trovò finalmente occupazione nella tipografìa della Propaganda Fide, non così il Giacometti che impiegava il suo tempo a visitare le antichità romane vivendo alle spalle dell’amico. Stanco di ciò il Ferolli volle recarsi a Napoli in cerca di miglior fortuna e raggranellati alquanti soldi si licenziò dal servizio. Ma quale non fu la sua disperazione, quando un giorno prima della partenza si avvide che il suo buon amico gli aveva trafugato quel po’ di denaro. Trovato in quei momenti un conoscente che gli promise del denaro, proveniente, diceva, dai fondi del comitato segreto, decise di partire per Firenze: scopo del sussidio era di incoraggiare l’emigrazione della gioventù da Roma, e la consegna del denaro doveva farsi il giorno della partenza, fuori Porta Pia. Venuta l’ora e poiché quel tale non si faceva vedere, il Ferolli, fiutando qualche altro tradimento, si risolvette a fare il viaggio a piedi. A Firenze, dove arrivò nel marzo del 1866, trovò alcuni patriotti concittadini, ai quali narrò le sue peripezie. Poiché si diceva imminente una guerra con l’Austria, gli emigrati romani, veneti, giuliani e trentini iniziarono dimostrazioni patriottiche per indurre il governo ad aprire arruolamenti di volontari, che dovevano essere guidati da Giuseppe Garibaldi. Ciò avvenne nella seconda metà di maggio: allora la gioventù fiorentina e gli emigrati accorsero ad iscriversi. Il Ferolli fu assegnato alla 24.a compagnia del VI reggimento, comandato dal colonnello Giovanni Nicotera che dopo due mesi di manovre partì da Bari per il Trentino. Vi giunsero, sostando da un paese all’altro, alla vigilia della battaglia di Condino e alla 24.a compagnia fu dato l’ordine di occupare un’importante posizione. Il Ferolli venne a salutare il Donaggio: si baciarono come fratelli stringendosi la mano e augurandosi forza e coraggio. Il 16 luglio si ingaggiò il combattimento. Il Donaggio rimasto incolume andò in cerca della 24.a compagnia; trovatala ne riscontrò appena una metà dei componenti. Assistette all’appello: il Ferolli mancava e nessuno seppe dargli notizie di lui. Sperò allora che egli fosse tra gli sperduti, ma anche questa speranza risultò vana. Credendo di aver perduto il suo caro compagno, lo pianse amaramente. Un mese dopo, fatta la pace, ebbe luogo la consegna dei prigionieri. Il Donaggio raggiunse il suo reggimento a Brescia, dove appena arrivato riuscì a sapere che il Ferolli era degente all’ospedale. Vi corse difilato e lo trovò a letto dolorante per una gran ferita: una palla gli aveva perforato la spalla destra. Raccontò al Donaggio che la sua compagnia fu quella che attaccò il ponte di Cimego, guidata dal prode maggiore Lombardi, figlio dell’eroica Brescia. Questi si trovava su una collinetta e di là comandava e incoraggiava i volontari: il posto era pericoloso, ma egli non si mosse di là, allorché una palla colpendolo al petto lo fece stramazzare al suolo. Alle fioche implorazioni del ferito che non lo lasciassero cader prigioniero, accorsero un ca-