260 BIAGIO MARIN Io lo vorrei trattenere perchè gli voglio bene; siamo vissuti insieme: e intanto avanza lo stuolo delFombre: bisogna partire.» Si, miei compagni, proprio così: «avanza lo stuolo dell’ombre, bisogna partire». Ma chi di noi ha mai pensato, che in Giulio ci fosse tanta tristezza e tanta interiorità? Quanti l’hanno solo intravisto? Così Giulio si è maturato alla morte, che è la suprema esperienza della vita, amando, combattendo, soffrendo virilmente quello che nella vita tocca soffrire. Da l’intimo della sua anima egli andava a quell’assoluto, a quella pace, che egli pur aveva intravvista nell’aspra guerra vissuta con ogni fibra del suo essere. La vita borghese, gli sembrava tutta un’ironia, e non fu capace di seddurlo. Pochi come lui ne avvertivano la vanità. Intelligente come era, avf,-va gioia della comprensione, e if dramma che si delineava nella quotidianità, non lo lasciava indifferente. Ma non era più da tanto da affascinarlo. Il suo cuore aveva sete di verità, sete di Dio. Perciò, venuta nuovamente la guerra, dopo 25 anni dalla prima, egli riveste l’abito della disciplina e se ne torna al dovere in silenzio. Ritornò così al comando dei suoi fanti, con un’umanità ormai così ricca da compenetrare i suoi subalterni. Scrisse, dopo la sua morte, il tenente Umberio Gherra: , Da poco più di un mese era il mio comandante. In questo brevissimo perìodo avevo riposto in lui un vivissimo affetto. Si era imposto alla mia ammirazione per tutte le sue qualità, in primo luogo per la sua grande fede d’italiano che lo faceva certo, di un certezza assoluta, dei destini della nostra Patria. Questa sua fede manifestava in ogni occasione e cercava con ogni mezzo di potenziarla nell’animo di chi lo circondava. Questa sua fede lo faceva lavorare giorno e notte senza riguardo a se stesso, per tutto vedere e lutto animare con la sua presenza e con la sua volontà. Animava i soldati nostri che voleva sacrificati il meno pos/sibile. Tutto dava di sè, senza nulla chiedere. Di una modestia eccezionale, mai parlava di sè e del proprio passato che sapevamo glorioso, viveva in una stanzetta semplice come una cella senza comodità, Con i suoi libri, se aveva un minuto di tempo lo dedicava allo studio e alla meditazione. Aveva la semplicità, la modestia di un frate francescano. i,E conosceva la lingua del paese, e nel periodo di permanenza a Liu-bovna si era fatto amare da questa popolazione, che al suo trasporto funebre è intervenuta in pianto, in massa, a rendergli quell'onore. Il Maggiore Giulio Camber è stato un uomo squisito. Era un signore in ogni Sua manifestazione. ,,Un uomo, che dall’esperienza della sua vita, aveva tratto una conoscenza degli uomini e delle cose superiore al normale. E questa esperienza degli uomini e delle cose era vivificata dalla ricchezza del suo cuore”. E così continua il tenente mitragliere Umberto Gherra, giudicando Camber con la chiarezza che solo i cuori puri dei giovani e l’amore possono conoscere. A me pare che dì più e di meglio di un uomo non si possa dire. E’ un attestato che splende di entusiasmo e di amore in ogni parola. E non è la parola di un adulatore! Sente di sangue e di verità.