Pubblicazioni e ricerche archivistiche sugli esuli Napoleonici a Trieste 293 sto, ricavare dei dettagli anche per lo studio di argomenti affini a quello da lui pertrattato. La ragione di tale omissione, che è frequentissima, va per lo più ricercata però nel desiderio di ¡snellire e rendere accessibile, anche alla massa dei non studiosi, il proprio volume e nel fatto che pubblicando in appendice il testo delle fonti documentarie, si va incontro ad una spesa maggiore dell’edizione, che va ad incidere poi sul prezzo di copertina, con conseguente minore smercio del'libro. Gli editori inoltre, i quali in maggioranza mirano solo al guadagno e non comprendono il valore d’una documentazione, sono i primi ad opporsi a questo sistema di pubblicazioni, che pure costituisce il più reale e completo apporto che uno scrittore possa dare alla scienza storica. E’ impareggiabile infatti l’interesse morboso che può suscitare, nell’animo di un cultore di storia, la vita d’un personaggio riesumata nelle sue stesse lettere, nelle carte dell’epoca, debitamente postillate e accompagnate da larghi, intelligenti commenti. La penna più smagliante ed erudita non può raggiungere mai l’incantesimo di sentire vicino a noi palpitare un’esistenza e nel loro turbine gli avvenimenti del passato. Francesco Salata ha risolto brillantemente il problema nel suo «Guglielmo Oberdan», pubblicando nel 1924 un’edizione con tutti i documenti sui quali lo studio si basa e con le sue postille e poi una successiva, di carattere popolare, contenente il solo testo dell’opera. La prima dovette essere posta in commercio a Lit. 50.—, ma la seconda potè essere venduta a Lit. 12.— ed essere così accessibile a tutte le borse. L’erudito poi che non aveva i mezzi per comperare la prima — gli studiosi oggi sono per lo più poveri di quattrini — aveva campo di andarla a consultare nelle pubbliche biblioteche. Accanto al senatore Salata abbiamo altri autori che in questi ultimi tempi hanno messo in pratica tale metodo. Certo il loro numero è esiguo e le pubblicazioni documentarie purtroppo rimangono relegate nelle riviste mensili o annuali, letterarie e scientifiche e noi dobbiamo accontentarci ed anzi augurarci di possedere molti volumi del tipo del Wertheimer, in cui almeno tutto è convalidato dalle note indicanti le fonti; elemento già inconsueto questo nelle pubblicazioni storiche. Queste per lo più diminuiscono da sè sole il valore del contributo fattivo che apportano, eliminando, siccome pesante zavorra, tali riferimenti alle fonti. Si limitano ad un accenno cumulativo delle stesse nella prefazione, o in una nota conclusiva, o in un elenco schematico in fondo al libro. Non si accorgono i loro autori e gli editori che si rifiutano di accogliere le note, che agendo così, possono far dubitare dell’esattezza e della serietà delle affermazioni contenute nel volume. A questo primo gruppo di storiografi segue poi la falange innumere degli scrittori di succose e brillanti biografie di grande tiratura, basate semplicemente su una più o meno estesa bibliografia e il cui nerbo è formato da uno studio psicologico compiuto esclusivamente su questa e da personali sentenze e conclusioni. Tali autori provengono per lo più dalla massa più eletta dei giornalisti e da quella dei romanzieri letterari. A questo genere di volumi tengono infine dietro le storie romanzate, tanto oggi in voga e tanto perniciose nel lettore comune per la conoscenza della verità storica e alle quali erano preferibili i romanzi storici dello scorso secolo, poiché quelli almeno già sul frontespizio ammonivano di essere un parto di fantasia su di uno sfondo storico e molte volte si elevavano a capi-lavori letterari.