82 EMMA FABI Si aggiunge ai meriti del libro — personalità di stile, pienezza di pensiero, disciplina dell’imaginazione e del sentimento, potenza di mezzi — il privilegio di, tracciare nel profilo di un’anima il carattere, il genio, l’opera di Ibsen che raramente è stato così magistralmente interpretato. La forma ne è complessa, troppo complessa talvolta per noi che vorremmo più brevi e rapidi i concetti per afferrarli subito e farli nostri, senza che anche la nostra lettura diventi un lavoro di lenta conquista col seguire lungo l’opera i pensieri che offrono materia di lunghe riflessioni, e analisi. Dobbiamo convincerci però che questa complessità della critica filosofica-storica, se così si può dire, dalla quale abbiamo sempre da apprendere, è dovuta alla scrupolosità del lavoro. Guido Manacorda nella sua prefazione alla «Donna del Mare» della Biblioteca Sansoniana Straniera dice: «Intorno ad Ibsen abbiamo in Italia quel che non accade pur troppo di segnalare molto spesso scrivendo di autori stranieri, voglio dire un buon volume d’insieme: un poco barbaro e petrigno nella forma, un poco fluttuante e nebuloso nel giudizio, ma scritto con gran fervore e salda coscienza da un nobile spirito: Scipio Slataper» (1). Se Slataper avesse avuto il tempo di rivedere ancora il suo «Ibsen» tutti i difetti che vi sono notati avrebbero potuto essere corretti in un’altra edizione. Ma il tempo gli mancò. Ancora nel 1915, al fronte, correggeva le bozze di stampa per quell’unica edizione che doveva uscire postuma con un cenno sulla sua vita, di penna del Farinelli. E ciò che veramente mancò al libro, come notò qualcuno, è stata una bibliografia vasta e ricca come quella preparata per Hebbel. Ma non dobbiamo rimproverarne l’autore che veramente raccolse con cura tanti dati bibliografici, e ci preparava una interessante Prefazione, se nell’immediato anteguerra l’opera sua di propagandista e di interventista gli impedì di portare a buon fine il suo lavoro. E noi sappiamo che Scipio Slataper non si sarebbe accontentato di offrirci delle pagine abbozzate e incomplete o dei dati cervellotici. Egli piuttosto preferiva veder uscire il suo Ibsen senza Prefazione e senza bibliografia. E’ utile, ora, per noi, leggere un articolo inedito su Ibsen dove Slataper rimpiangeva che da quando Eleonora Duse non recitava più Ibsen era passato di stagione in Italia e che se ne ragionasse ben poco in generale e che ci si accontentasse, volendo leggerlo, delle traduzioni dal francese di Prozor tutt’altro che perfette. Slataper in questo suo scritto affermava coraggiosamente che si doveva a Eleonora Duse ciò che veramente si sapeva di Ibsen: «Bisogna pur dirlo chiaramente una volta: tutto ciò che noi veramente sappiamo di Ibsen lo dobbiamo a lei. Eleonora Duse ci scoprì il poeta Ibsen: la grande tragedia morale sotto la maschera realistica del cotidiano». E aggiungeva: «Ma bisogna anche dire che noi in generale non lo capimmo. Capimmo lei, ch’era magnifica, ma non il poeta ch’ella viveva. La Duse è per noi, che interpreti d’Annunzio o Ibsen, la Duse; e Ibsen è ancora Zacconi: Osvaldo e non Elena». A questo punto una nota ci richiama sull’interpretazione degli «Spettri», sempre assolutamente falsa, perchè Elena è il vero centro del dramma e non Osvaldo, povera creatura malata. A proposito degli Spettri, dice Slataper: «fin nel nome i Revenants, i Fantasmi si sono involgariti da noi!» E insisteva (1) Op. cit. pag. XIV.