266 BRUNO WIDMAR Gli anni di preparazione Il Gentille dichiara che l’Asilo sia sorto dalla propaganda fatta parallelamente dalla Minerva e dalla «Favilla», ciò non è molto esatto perchè la propaganda vera e propria fu fatta dalla «Favilla»(8). La Minerva si limitò una sola volta a presentare il problema. Troviamo in un primo articolo, apparso il 19 novembre 1837, sulla Favilla, messa in rilievo l’importanza degli Asili. L’articolo, che porta la Arma di Saverio Baldacchini, è presentato da Giovanni Dall’Ongaro e vuol mostrare infondate le accuse di G. Pepe che moveva i seguenti appunti all’Aporti: Doversi educare prima le madri dei bambini; non aver alcuna importanza la educazione impartita prima degli anni dieci imprimendosi solo da questa età le sensazioni; e infine esser l’Asilo una produzione d’oltralpe. A quest’ul-tima accusa il Baldacchini rispondeva concludendo l’articolo: «I migliori trovati degli altri popoli se li sapremo trapiantare e far nostri, non più francesi, non più inglesi saranno, saranno nostri e per essi il senso italiano sarà esaltato e nobilitato...» Presentato in forma polemica il proclama degli Asili doveva interessare vivamente il pubblico e i promovitori di nuove istituzioni, inoltre l’articolo ha il grande merito di esaltare l’Asilo come un prodotto italiano, e non sembri esagerato dire che l’Asilo essendo un prodotto italiano trapiantato a Trieste alimentasse l’amore verso la Patria, verso l’Italia. Nell’Asilo è da vedersi un grande mezzo di collegamento tra Trieste e le altre provincie italiane, ma anche e sopratutto una fucina d’italianità. Sotto questa luce l’Asilo può dimostrare la sua funzione nel Risorgimento, ed è solo sotto questa luce che va inteso e nobilitato, il carattere filantropico passa in linea secondaria. La Favilla aveva saputo cogliere nel segno interessando il vasto pubblico con una questione polemica che non poteva essere valutata appieno, se non quando il pubblico fosse stato illuminato sui fini e sui mezzi di quest’Asilo e non avesse avuto relazione della vita di un qualche simile istituto già in vita nella nostra regione o in qualche altra regione d’Italia da un qualche scrittore della città. E qui appare il modo intelligente col quale i collaboratori della «Favilla» presentano il problema degli Asili per eccitare il nobile desiderio ad avere anche a Trieste una istituzione di tal genere, presentando il 19 maggio 1839 un secondo articolo firmato da Pacifico Valussi «Asili d’infanzia ad Udine, Capodistria e Tricésimo» (9). L’autore coglieva l’occasione dell’apertura dell’asilo di Capodistria, dovuto all’interessamento di Antonio de Ma-donizza, per far conoscere più da vicino questa pia opera che egli esaltava mettendo in primo piano il suo significato «Non è una carità questa che si fa ai figli dei nostri miseri fratelli, un obolo di più gettato nell’abisso della povertà, ma sì un seme fecondo che frutterà il cento per uno a chi lo gettò, un complemento necessario alle leggi che tende a prevenire più che a punire il delitto; un legame indispensabile fra la classe doviziosa e la meschina, la qual non guarderà d’un occhio bieco la mano che la soccorre, non tenendosi più avvilita nell’accettare un aiuto che non serve ad altro che a saziare la pericolosa sua fame». Non è possibile che la questione presentata in questi termini passasse inosservata, tutt’altro, Trieste vanta un primato in fatto d’istituzioni educative, non si può pensare, quindi, che l’interesse fosse proprio del gruppo della «Favilla» ma si allargasse in mezzo ai cittadini.