70 FEDERICO PAGNACCO alla Germania, ci ridava tutta intera la Dalmazia, ridava all’Italia tutto intero l’Adriatico, da Trieste a Corfù. La nemesi era compiuta. Ecco perchè quando giunse la notizie del colpo di Stato di Belgrado dicemmo in cuor nostro: grazie a Dio. Tutto il resto è storia che abbiamo respirato a pieni polmoni queste ultime settimane. I nostri fanti che, da Tarvisio a Sussak, varcano il confine. Il tricolore su Lubiana. La cavalcata dei battaglioni motorizzati giù per la Dalmazia, il collegamento coi soldati d’Albania, la saldatura in Macedonia dei due Eserciti di Germania e d’Italia, la croce uncinata su Belgrado e su Atene, il tricolore d’Italia su Corfù, la cacciata in mare degli inglesi, la loro definitiva espulsione dall’ultimo lembo d’Europa ... Lo sboccio della primavera preannunciata dal Duce non poteva essere più luminoso. La guerra però non è finita. Questo si sa. Sarà ancora dura e potrà essere lunga. L’Inghilterra, pur flagellata dagli esplosivi nella sua isola, pure assediata dal controblocco, pure battuta in Africa settentrionale, pure cacciata dai Balcani, ha ancora energie da spendere e popoli ingenui da sfruttare. Ma se ciò è vero, è altrettanto vero che l’Asse ha tanta forza da stroncarle le energie e tanta potenza da convincere i popoli ingenui. E l’iniziativa è fermamente in mano dell’Asse. A levante — uno dei quattro punti cardinali accennati dal Duce — la partita è saldata. Bestiamo ora in attesa che la primavera fiorisca anche sugli altri tre. Ma intanto ci si lasci gioire particolarmente, diremo quasi fa-migliarmente, degli eventi adriatici, più grandi — per la loro fulmineità e per la loro ampiezza — della nostra stessa aspettazione. Questa nostra porta orientale non era salda ed aveva un battente aperto. Ora è diventata una vera frontiera, dal Tricorno al Bittorai alle Dinariche. La Dalmazia, splendida gemma di Venezia, contro la quale l’Austria degli Absburgo e la Jugoslavia dei Kara-georgevic s’erano accanite, per un secolo e mezzo, a cancellare ogni traccia di italianità, lavorando di scalpello nei cuori e nei marmi, la Dalmazia è ritornata all’Italia, è ridiventata l’antemurale della nostra sicurezza totalitaria in questo Adriatico ch’è uno dei nostri polmoni.