la tenne dopo, quasi che nulla di nuovo sia mai avvenuto fra i secoli di Roma e di Venezia e il secolo XX ; — perchè molti edifizì delle città dalmatiche sono opera all’arte italiana, giust’appunto come molti altri edifici di Vienna, di Cracovia, di Varsavia e di Mosca ; — perchè ancora pochi decenni or sono viveva in un’ isola del Quarnero un vecchio, che parlava il paleodalmatico, e come tale sarebbe stato, a quel che sembra, ultimo erede degli « aborigeni » e l’unico signore legittimo di tutta la Dalmazia, e i suoi diritti sarebbero passati, a quel che sembra, al Re d’ Italia ; — perchè in Dalmazia è largamente inteso il dialetto veneto, come se la Francia potesse pretendere alla conquista di alcune parti del Piemonte, solo perchè il francese vi è inteso dà buona parte della popolazione. E tutta questa cianfrusaglia di pseudoargomenti a base di diritti e di giustizia è maneggiata — e questo è il lato più strano della discussione — proprio dai seguaci di una scuola politica, la quale ha imparato dalle dottrine panger-maniste l’apologia sistematica della sola «politica delle realtà » ! In verità, chi vuole oggi invocare la conquista della Dalmazia per opera dell’ Italia, deve eliminare radicalmente da tutto il sistema delle sue idee ogni nozione di « diritto » e di « giustizia » : utilizzi, se gli riesce, i concètti d’ « interesse », di « necessità », di « utilità », magari di prepotenza ; ma lasci stare il diritto e la giustizia ! E anche noi vogliamo, nella discussione del problema dalmata, fare astrazione da ogni preoccupazione di diritto e di giustizia nazionale, adottando come unica base di indagine il concetto del nostro esclusivo « sacro egoismo »