bardo-Veneto dall’Austria. Gl’Italiani diventavano così nell’ Impero austro-ungarico una minoranza poco apprezzabile, a cui il governo non aveva più interesse a mantenere il suo favore di fronte agli Slavi. D’altra parte, nei vecchi gruppi italofoni avveniva una profonda crisi. Mentre una parte di essi, attratta dalla suggestione della nuova vita nazionale italiana, e incalzata dalla crescente marea slava, si sentiva nazionalmente italiana, un’altra parte gravitava verso gli Slavi, e nell’affer-marsi slava di volontà, rinunziava anche all’uso dell’ italiano, o per lo meno continuava a parlare italiano solamente nei casi, in cui la preoccupazione di affermare la propria volontà slava non la consigliava ad ostentar l’uso della lingua serbo-croata (28). È questo il fenomeno, assai comune nei paesi misti, dei così detti « rinnegati » : Sloveni, che in Stiria e Carinzia si dichiarano tedeschi pur usando come lingua di conversazione lo slavo ; Sloveni, che a Trieste diventano nazionalisti italiani ; italofoni, che in Dalmazia aderiscono al movimento nazionalista serbo-croato. Da siffatta crisi di assestamento — che ha prodotto in certi casi resultati assai bizzarri (29) — l’italianità in Dalmazia, più che perdere, ha guadagnato. Poco dopo il 1860, Niccolò Tommaseo, difendendo i dalmati del partito « autonomo » o italiano contro i primi assalti del nazionalismo slavo, sosteneva che su 420 mila abitanti della Dalmazia gl’ Italiani erano 20 mila, e non 15 mila, come pretendevano gli Slavi. Se si fossero conservate le stesse proporzioni in questi ultimi cinquant’anni, gl’ Italiani dovrebbero essere oggi non più di 30 mila, laddove le statistiche elettorali ne rivelano, su per giù, 40 mila. Si tratta,