Disse che, nel convento dei Carmini, erano pronti i barili di vino per brindare alla vittoria e raccomandò agli alfieri che i Nicolotti non potessero spiegare, a loro gloria, le bandiere Castellane. Nell’atrio del Palazzo Foscarini, il Doge dei Nicolotti parlava ai suoi affermando che la battaglia, che si andava a combattere, doveva essere il compendio di tutte le vittorie ottenute dai Nicolotti su quel ponte. Rievocò l’episodio di Angelo Dardani che, sullo stesso ponte dei Carmini, inflisse al temuto Castellano, Iseppo Calafào, la massima mortificazione, spogliandolo degli abiti e buttandolo nudo in canale. Disse ai fratelli che nelle case dei vecchi campioni, in quelle di Marco Gritti, di Stefano degli Amai, di Checco Tòtano, si conservava un’infinità di bastoni, di morioni, di scudi, di armi, di bandiere tolte ai nemici, che, anche in questa grandiosa prova, le armi Castellane erano destinate a decorare le case dei campioni Nicolotti. Enrico III, col suo numeroso e magnifico corteo, arrivò a Palazzo Foscarini, scendendo alla riva di Calle dei Ragusei ed entrando in palazzo dal giardino, perchè il canale dei Carmini era chiuso e la fondamenta occupata dalle truppe. Quando l’ospite si affacciò al balcone lo spettacolo era imponente. Le fondamente, le finestre, le altane, i tetti erano occupati da una folla ansiosa e irrequieta e il canale coperto di barche e di spettatori. - 173