Ma ritorniamo ai cavalli. Nella Venezia orientale, presso il Timavo, e nel territorio altinate e padovano, i Veneziani tenevano razze di cavalli, ma si prelevavano i cavalli anche fuori e specialmente dall’isola di Cipro e se ne faceva largo commercio. Il trasporto di questi cavalli avveniva, in modo assai ingegnoso, con speciali navigli, muniti di un largo boccaporto a fior d’acqua che, dopo il carico dei cavalli, veniva ermeticamente chiuso e calafatato. Completato il carico, con altre mercanzie, la stiva coi cavalli veniva a trovarsi molto profondamente immersa sotto il livello dell’acqua e dava così al naviglio grande stabilità. I Veneziani usavano dare ai loro cavalli uno strano colore. Li tingevano di una bella tinta arancione col succo di una specie di mirto, che cresceva nell’ìsola di Cipro. I patrizi erano superbi dei loro cavalli e tenevano stalle ricche e belle anche in città. Michele Steno, che fu Doge nel 1400, famoso per l’atroce distico che egli scrisse sulla sedia del suo predecessore, Marino Falier, e gran cacciatore di lupi e di cinghiali, aveva a Venezia una magnifica stalla e manteneva i più bei cavalli d’Italia. La Repubblica teneva in città sei bellissimi cavalli ed era grande segno di onore quando li concedeva in uso agli ospiti della Serenissima. 60 -