E dopo queste battaglie c’erano le sfide e piccole squadre andavano, per loro conto, a battagliare sui ponti seguite dai ragazzi che portavano, nei grembiuli o in sacchetti, ciottoloni e sassi per... aiutare i combattenti. I capitani e i birri mettevano tutta la loro buona volontà per arrestare i capi, ma trovavano un osso duro da rodere perchè i pugilatori si ribellavano all’arresto, i capi e i campioni si trinceravano nelle case e non avevano paura delle archibugiate. Ferivano qualche volta anche i birri. Se venivano acciuffati, subivano tre tratti di corda pubblicamente in Piazza, e passavano due o tre mesi in camerotto, ma i nobili, i protettori, intervenivano intercedendo per i campioni loro protetti per mitigare le pene. La sofferenza maggiore dei carcerati doveva esser quella di non poter battagliare. E i compagni della fazione, in attesa che i carcerati finissero la pena, preparavano nuove sfide. E sfidavano e provocavano gli avversari affiggendo scritte e cartelli e mandando i ragazzi a cantare villotte e stornelli di scherno e di invito. Attraverso un rio di Castello, apparve un giorno un gran cartellone con questa scritta : « Se fossi o Pennacchio in libertae, fuora delle preson o camerotti vorave darte quattro sculazzàe perchè ti xe cagòn fra i Nicolotti y>. - 187