L’anno dopo, da vero barcaiolo, ripetè l’ascesa in barca, con una Asolerà, dove fingeva di vogare e, giunto alla cella dove... ormeggiò la sua barca, raggiunse l’angelo sulla testa del quale eseguì numerosi «impali» e svariati giochi di equilibrio. Questi «impali» e altri temerari esercizi si facevano, oltre che sull’angelo, anche sul leone alato dell’attico sovrastante le campane. Il 14 febbraio del 1760, quattro uomini salirono lungo la fune al campanile, uno a cavallo di un grosso mostro di legno, un satiro, un altro con una barca, un terzo con due cannoncini, uno assicurato ad un braccio, l’altro ad un piede. Il quarto di questi coraggiosi, discese, senza essere assicurato, a mano, lungo la fune e, giunto ad una certa altezza, si lasciò penzolare nel vuoto, tenendosi alla fune coi piedi e salutando a gran gesti il Doge e la folla. Ma nel 10 febbraio di quell’anno, Giovanni Bajo di trentun anni, che apparteneva a una famiglia che diede famosi scalatori del campanile, dopo aver assistito, alla Scuola degli Sforzanti, a S. Fantin, alle prove delle forze, che si dovevano fare nel prossimo Giovedì Grasso, per dar saggio della sua bravura o per scommessa, salì sul campanile per fare alcuni «impalò) sul leone dell’attico. Fatta due volte la verticale, nel ripetere l’esercizio, perduto l’equilibrio cadde, sfracellandosi sul selciato della Piazza. 112 -