ALCUNE LETTERE DI SCIPIO SLATAPER Sul piccolo mondo triestino d’anteguerra, la personalità di Scipio Sla-taper si staglia nitida come l’aspro fiorito biancospino talvolta si stacca netto sulla brulla landa carsica. La sua vita e le sue opere sono un tutto cosi armonioso, cosi completo, così coerente, che invano si potrebbe immaginare l’una senza le altre. Ma non è nostra intenzione tracciare qui una sia pur breve biografia di Slataper. La nobiltà e la grandezza del suo intelletto sono consacrate dalle sue opere: da quel poema stupendo ch’è «Il mio Carso», dall’«Ibsen», dai suoi «Scritti» letterari critici politici. La nobiltà della sua vita è sacrata dalla sua morte eroica: fronte al nemico davanti a quel Carso da Scipio, quasi presago, immortalato nel canto prima di venir immortalato dai fanti nei duri sacrifici della guerra. E dopo i suoi «Scritti'), ad illuminare più intimamente la sua figura,— è stato pubblicato nove anni or sono — nei tre volumi delle «Lettere» — quell suo epistolario ch’è esso stesso un poema, nel quale si fonde il senso prepo-B tente d’umanità e quella sete di sincerità che sono la nota dominante di tutte ’ le opere di Scipio Slataper. Oggi noi abbiamo la ventura di pubblicare alcune lettere di Scipio Slataper, scritte a Sibilla Aleramo negli anni 1912 e 1913. Non sono cose di grande rilievo. Sono lettere di carattere personale scritte nella certezza che mai sarebbero state pubblicate, e che Sibilla Aleramo volle cortesemente mettere a disposizione de «La Porta Orientale». Non aggiungono nulla, o aggiungono poco, a quello che di Scipio Slataper già si conosce. Ma in qualche lieve tocco, in qualche frettoloso passaggio, noi ritroviamo l’unghia robusta di Slataper, ritroviamo la impronta di quella mano che ha dato alla prosa italiana pagine che anche oggi sembrano fresche d’inchiostro e che — nello stile e nell’impeto — paiono anche oggi originalmente ardite e tutte frementi di vita. Più che l’intenzione di offrire un modestissimo contributo alla conoscenza di Scipio Slataper, ci spinge a pubblicarle il desiderio di ricordare che quest’anno — e precisamente il 3 dicembre prossimo — ricorre il venticinquesimo anniversario della sua morte. Trieste non ha fatto molto per questo suo figlio ch’è stato, nella concezione dell’arte e nella concezione della vita, un autentico precursore; non ha fatto molto per questo suo figlio che le ha donato la ricchezza del proprio ingegno e il patrimonio della propria esuberante giovinezza. Non ha fatto molto. Ma noi non vogliamo rivangare il passato per scavare motivi di rampogna. Preferiamo ricordare l’evento per sperare nell’avvenire. Ed ora ecco le lettere. f■ pagn.