126 FATTI, PERSONE, IDEE di Dante a Pota, che il Poeta fosse ricoverato nel Monastero di S. Michele fuori le Mura per ricevere allo sguardo dall’eminenza di quel sito la impressione dello squallido Prato Grande disseminato d’arche marmoree dai coperchi in forma di tettuccio a due spioventi ornati d’acroteri, ma in parte scoperchiate. Sì invece preferisce immaginarlo ospite di qualche profugo fiorentino, esercente ivi l’arte del cambio e della mercatura, e forse accolto nella piccola Corte dei Castropola, entro la rocca turrita e merlata che dominava dall’alto dell’antico Campidoglio la città a raggiera entro una cerchia murale a torricelle alternate rettangolari e cilindriche e la foranea necropoli monumentale stendentesi tra la fantastica Arena e il sontuosissimo Zaro. Anche il fatto che nel 1305 era Podestà di Pola Monfiorito da Coderta della Marca Trevigiana, che sei anni prima era stato Podestà di Firenze, darebbe un nuovo elemento di prova a favore della venuta di Dante a Pola, che se il Grande Esule fu, come si afferma, a Treviso nel 1304 o nel 1306, è molto probabile che s’incontrasse presso i Signori Da Camino con il nominato Monfiorito. Tuttavia se risulta con quasi certezza che l’Alighieri abbia visitata l’Istria, il De Franceschi non intende soffermarsi ad arzigogolare, per mancanza d’ogni ulteriore menzione, se il «dominus Dantes Tuscamrs habi-tator Parentii», persona, per l’Au-tore, di certo ragguardevole, che comparisce a Parenzo il 4 ottobre 1308 occasionalmente astante a una sentenza del podestà veneto Andrea Mi-chiel, sia da identificarsi con il sommo Vate, per quanto gli sorridereb- be di riaffermare con maggior corredo di argomenti probatori l’accennata identità. Nella parte conclusiva della sua pubblicazione il De Franceschi ci illustra in un quadro più particolareggiato e nei caratteri più tipici le attività a cui si dedicarono gli emigrati toscani a Trieste e nell’Istria avendo riguardo tanto a quelle rimanenti entro l’ambito privato e delle relazioni personali, quanto alle altre che non potevano sottrarsi, o rimanere indifferenti all’ingerenza pubblica e giungevano a rivestire anche un interesse collettivo. Se pure l’attività degli emigrati toscani nell’Istria non è stata tale da andare immune da rilievi e da biasimi, non di meno essi recarono in mezzo agli istriani un tenore di vita più progredito ed un più elevato costume di vita, ne colmarono il sentimento estetico e ne favorirono le più coraggiose iniziative economiche, compensando in certa guisa i danni che la pressione usuraia dei fenera-tori fiorentini abbia potuto esercitare più o meno gravosa ed iniqua, secondo le circostanze, nelle terre della Venezia Giulia. La pubblicazione di Camillo De Franceschi in considerazione all’argomento su cui verte acquista oltre che il maggiore e più largo interesse in generale una portata veramente eccezionale di contributo nel campo della nostra storia patria. Vincenzo Marussi CAMILLO DE FRANCESCHI - Esuli fiorentini della Compagnia di Dante mercanti e prestatori a Trieste e in Istria - Venezia, a spese della R-Deputazione 1939-XVII; pag. ltiO. (Estr. dal-V Archivio Veneto, v. LXVII i, V.a S. N. 45-46).