LE MISSIONI DI GUERRA DI NAZARIO SAURO 155 Ma il piroscafo scompare, fa la seppia, i trenta o quaranta secondi necessari a percorrere quei quattro o cinquecento metri sono passati e scoppi non se ne sono sentiti. Pazienza e avanti, ancora mezz’ora, ancora un’ora di agguato. Verso le 9,30, quasi all’imboccatura del molo si mostrò un nuovo bersaglio. Il comandante chiamò Sauro al periscopio per individuare il piroscafo, poiché aveva ordine di non lanciare contro quello che faceva servizio per Abbazia. Sauro guardò, poi disse ridendo: «No, no, va benissimo. Gli lanci pure, è un piroscafetto armato che fa servizio per la dogana. Figli di cani...!» Il comandante commenta: «Se per ogni marinaio il doganiere è un nemico, figurarsi per il marinaio Sauro il doganiere austriaco!». Il siluro partì e colpì l’elica del «S. Mauro», senza però esplodere. La nave attaccata iniziò subito un nutrito fuoco con i suoi cannoncini. Ormai non c’era più niente da fare e fu deciso il ritorno, mentre il nemico sguinzagliava invano alla caccia sei torpediniere e tre idrovolanti. «Un’ultima occhiata in giro; un momento il periscopio a Sauro perchè saluti le sue terre, e poi di nuovo sotto, a 25 metri... verso l’uscita». Si iniziò così la navigazione per il ritorno e al mattino del 5, dopo aver avvistato il «Carabiniere» il «Fuciliere» ed una squadriglia di torpediniere costiere, che erano state inviate ad incontrarlo, il «Pullino» rientrava a Venezia. Questa seconda missione aveva dato modo di raccogliere dati positivi sull’attività che si svòlgeva nel golfo di Fiume e fu perciò deciso di ritentare la fortuna alla fine di luglio. La nuova missione si presentava naturalmente meno facile, perchè il nemico, dopo i primi tentativi poteva aver sbarrato il canale della Fara-sina e aumentata la sorveglianza delle coste, come èra probabile che avesse provveduto alla protezione del porto con sbarramenti e mine antisommergibili. Le difficoltà furono tuttavia giudicate superabili e il Comando in Capo di Venezia diede l’ordine al «Pullino» di avvicinarsi all’imboccatura del porto e lanciare a ventaglio quattro siluri in modo da avere la probabilità di affondare qualche piroscafo ormeggiato alle banchine interne. I Cacciatorpediniere «Zeffìro» e «Carabiniere» sarebbero stati pronti ad appoggiare il sommergibile al ritorno. Il mattino del 30 luglio il «Pullino» lasciò la base di Venezia. All’uscita Sauro era rimasto sotto perchè non lo vedesse la moglie del comandante la quale avrebbe capito, dalla presenza del Pilota, il rischio che presentava la nuova missione e ne sarebbe rimasta impressionata. Appena fuori, Satiro tornò in coperta con la sua divisa grigia in perfetto ordine. Era tranquillo e come sempre sorridente. La navigazione procedè calma fino al tramonto. Le rotte previste dovevano condurre il sommergibile ad avvicinare le coste nemiche a notte fatta e dopo mezzanotte doveva essere imboccato il canale, fra lo scoglio della Galiola e l’isola di Unie. Il tempo era alla pioggia, la notte oscurissima. Verso mezzanotte il comandante andò un momento abbasso per dare un occhiata alla carta e, ritornato in coperta seppe che era stata avvistata a terra. Anche Sauro l’aveva vista. Degli Uberti non scorse niente, ma era ora dell’accostata. — Che ne dice Sauro?