GIORGIO BOMBI 11 A salvar Gorizia dall'imminente rovina, a strappare la perla del nostro cerulo Isonzo dal pericolo di cadere in mano degl’invasori, a ravvivare la tramortita virtù degli animi ormai deboli e stracchi, non ci voleva meno che la guerra all’Austria. E la guerra venne, e fu salutata dagl’irredentisti con entusiasmo, poiché vedevano in essa l’auspicata fine dell’assurdo impero absburgjco, già maturo per la sua scomparsa dalla storia. «Felice e fortunata davvero l’Italia — esclamò allora fatidicamente Cesare Battisti — che ebbe all’alba del suo riscatto il gran Be che accolse il grido di dolore degli oppressi, ed ha oggi, che il Bisorgimento si compie, il Be non ignaro dell’agonia terribile che si preparava all’Italia d’oltre confine, il Be che è sceso in campo con cuore di padre e con ardire di primo soldato d’Italia!» Ora se in un ambiente quale fu presentato in forma più che sintetica, irto di mille ostacoli e pieno d’incertezze, dove tra l’altro si dibattevano tre parlate diverse, ciascuna con le proprie aspirazioni, si colloca un uomo al quale incombe il dovere, dal momento che assume cariche pubbliche, di esplicare un’attività politica e di salvaguardare gl’interessi del suo paese, costui ha veramente in sè qualche cosa di eroico, se in un simile stato di cose sa tirar diritto senza naufragare urtando in Scilla o Cariddi. Ebbene, da tutti quegl’intrighi e difficoltà, da quei tenebrosi avvolgimenti, da quel caos politico e sociale, agitato dalle molteplici competizioni etniche e tenuto in effervescenza da un governo che aveva per motto divide et impera, Giorgio Bombi seppe non soltanto disincagliarsi con onore, ma uscire altresì vittorioso fino allo scoppio della guerra grazie a quella calma che gli era propria e insita per natura. Davanti ad eventuali opposizioni e imposizioni, ad accidenti e casi avversi, egli non s’impennava tanto facilmente nè si arrendeva, ma li affrontava con pacatezza, con sano criterio e tranquilla coscienza, facendo talvolta buon viso a cattivo gioco. Nato a Buda nel Friuli il 5 luglio del 1852, rivelò fin da giovine una spiccata inclinazione al lavoro, a un’attività indefessa e un costante fervido amore all’Italia e al suo paese irredento. Difatti in età ancor giovanile compie un atto che illumina di fervore patriottico tutta la sua vita. Becatosi una notte sul monte Calvario, dove sorgevano tre croci di pietra, sovra una di quelle inalberò or-