118 FEDERICO PAGNACCO mento di quelle povere frotte d’emigranti costrette ad abbandonare il suolo natio per un magro salario straniero. Nelle profondità dell’animo di quell’italiano adolescente, chissà, forse balenava — quasi inavvertito — il sogno di una redenzione che doveva dare terra, pane e gloria a questo popolo italiano che tanta miseria aveva patito per fecondare le terre altrui. Pare un sogno. A quarant’anni di distanza: Littoria, Sabaudia, Pontinia, sorte dalle paludi; acquedotti dove imperava la siccità; i campi del grano, raddoppiati; cantieri sonanti di lavoro, dappertutto ; la Libia, l’Africa Orientale, l’Albania, dove si scava, si dissoda, si costruisce, ma si lavora per noi, per la potenza d’Italia. Pare un sogno, a rileggere queste lettere e a pensare quanto cammino s’è fatto. Oltre a farci conoscere il Duce nei suoi anni di gioventù, questo libro di Alessi e Bedeschi ci dà il senso della distanza. E’ una generazione, questa nostra sul declino, che ha duramente marciato. E di una volontà di marciare sono tutte pervase le generazioni più giovani e le giovanissime. L’Italia camminerà. La Romagna che dalla feconda terra esprime le uve generose, il grano sostanzioso, le frutta opulente, ha generato nei secoli figure superbe di condottieri. Era destino che verso il crepuscolo del secolo decimonono — quando l’Italia unita, ancora spossata dagli sforzi del risorgimento, ultimando il riassetto statale indugiava troppo in una politica di staticità — in terra di Romagna, nella rustica casa di un fabbro, nascesse, per legge di contrasto, l’Uomo che doveva diventare il condottiero della nuova Italia. Egli ormai domina il secolo, e appartiene alla storia. Ma questo libro dei lontani suoi due condiscepoli, in un tributo di rispettosa e affettuosa amicizia, proietta su di Lui la luce di un’intima umanità che, se possibile, lo avvicina anche di più al cuore degli Italiani. f. pgn. NON DIMENTICHIAMO 6 agosto 1914: Churchill, Ministro della Marina inglese, autorizza l’Ammiraglio Milne ad attraversare lo stretto di Messina per dar la caccia al „Gòben” (tedesco), giacché riteneva che „per un risultato simile si pote'sse anche sfidare il rischio di qualche incidente con la neutralità italiana”. («La Vita italiana») Sono gli stessi che nel 1940 posano le mine nelle acque territoriali della Norvegia e poi 'strillano per la difesa dei diritti internazionali.