286 FERDINANDO PASINI dare all’Europa ed al mondo l’assetto di una società migliore. E dove un incontro di sì straordinaria importanza storica poteva avvenire meglio che sul Brennero, sul crinale della piccola terra alpestre, definito — alloi'a — da tutta la stampa come la chiave di volta della polìtica mondiale? «Le frontiere alpine, — dichiarava il Duce tre giorni dopo (21 marzo) alle notabilità dell’Alto Adige, ricevute a Palazzo Venezia in Roma, — le frontiere alpine, che ben prima degli uomini furono segnate da Dio, per delimitare il corpo tìsico dell’Italia, non dovranno mai più essere ragione di possibile controversia, ma costituire invece la linea di congiungimento dei due Stati, dei due Popoli, delle due grandi civiltà e delle loro affini, moderne Rivoluzioni». (Quello che ora avviene nell’Oriente Europeo e nei Balcani per regolare le questioni di frontiera fra la Romania da una parte e la Russia, la Bulgaria, l’Ungheria dall’altra si svolge secondo lo stile dell’Asse e si compie sotto la vigilanza, i suggerimenti, l’esempio dell’Asse: poteva il metodo italo-germanico avere più solenni conferme di queste?) Trieste non ebbe, purtroppo, la fortuna di vivere, sotto l’Austria, in clima di conciliazione e di coadattamento come si vive nella Svizzera nè ebbe mai capi di governo che la pensassero come il turco Remai, il germanico Hitler o l’italiano Mussolini. Al nostro irredentismo fu invece riserbata l’esperienza più dura, quella che ci fu riconosciuta da Gabriele d’Annunzio con parole indimenticabili. «Nella nostra dolce Trieste», — scriveva egli nel 1900, — «il principio di nazionalità è come un lievito implacabile». Lievito implacabile. Egli aveva intuito l’essenza dell’irreden-tismo, il più vero significato della legge che governa la vita de’ popoli in terra di confine, la legge universale e immortale che promuove e disciplina le azioni e reazioni degli spiriti etnici che vengono a incontrarsi lungo i margini delle nazioni, e a queste garantisce la perenne freschezza dell’essere contro i pericoli della stasi e deirimmobiltà. Azioni e reazioni. Attrazioni e repulsioni. Collaborazioni e lotte. Lievito implacabile. Ma appunto perchè all’irredentismo di Trieste fu riserbata l’esperienza più dura, che doveva passare attraverso la guerra, noi di Trieste imparammo ad amare tutti gli irredentismi; stemmo con gli occhi sempre aperti e vigili, pronti a cogliere qualunque indizio di situazioni analoghe alla nostra, ovunque fossero connazionali nostri a combattere le stesse lotte nostre o a sopportare le medesime sofferenze, e perfino gli irredentismi delle nazioni straniere sentimmo fraternamente come cosa nostra. Simpatizzammo con la lontanissima India, quando essa mandava ai congressi dei socialisti europei, nel 1907, i propri rappresentanti a proclamare il diritto all’indipendenza nazionale dal giogo