288 FERDINANDO PASINI teva la propria tesi sopra II Trentino, all’Università di Firenze. Sotto l’impressione di quello che l’Italia fascista di Mussolini faceva per la bonifica della Sardegna, il giovane còrso Luigi Paoli esclamava: «Noi difendiamo l’italianità della Corsica; nello stesso tempo difendiamo la storia e i diritti di questa nostra grande Italia. Ogniqualvolta mi è dato ricordare la mia isola nativa e di percorrere a mente le sue valli, le sue pianure dove, tristemente imperando, la malaria contrasta alla terra la sua rigogliosa fertilità, i suoi monti, le sue foreste, abbandonate all’indift'erenza degli elementi e dell’uomo, spontaneamente e direi quasi necessariamente mi viene di ribellarmi a quell’apatica amministrazione che lascia nella dimenticanza questo generoso lembo di terra come si trattasse di uno scoglio da sommergere. Ebbene, la Corsica non solo non è uno scoglio da sommergere, ma è una terra da conquistare! Ed è di questa speranza che si nutre l’esiliato ed irrequieto mio spirito irredentista!». Ma lasciatemi ricordare ancora la protesta che alzammo, da Trieste, nel 1920, a favore dell’italianità di Malta. Prima della nostra redenzione, noi avevamo sempre rinfacciato all’Austria l’esempio degl’italiani di Malta che, sotto il dominio inglese, possedevano tuttavia una loro Università, dove potevano sodisfare al bisogno di una cultura superiore nazionale. Non ignoravamo però le reali condizioni degl’italiani di quell’isola, la quale, nel programma dell’Inghilterra, complice il rinnegato Lord Strickland, era già condannata alla snazionalizzazione. Il processo d’imbastardimento, vólto alla totale, se mai fosse stato possibile, anglicizzazione, era arrivato, nel 1920, ad una fase acuta: fu allora che, in un ¡articolo del nostro Piccolo della Sera (16, XII, ’20), pubblicai sotto il titolo «Sopravvivenze austriache ... a Malta» un appello alla stampa del Regno, perchè influisse sul nostro governo e lo inducesse a intervenire presso il governo inglese patrocinando la causa degl’italiani di Malta, i quali erano costretti a difendersi dalle stesse insidie cui era ricorsa l’Austria a Trieste per minare e scalzare la nostra italianità. «L’Italia del 1920», — dicevo —, «uscita vincitrice dalla battaglia di Vittorio Veneto, e alleata dell’Inghilterra», non può abbandonare Malta a sè stessa. Le nostre relazioni diplomatiche con l’Inghilterra, da alleati ad alleati, dovevano servirci meglio che non ci avessero servito quelle con l’Austria, dovevano essere trattate e sfruttate con maggiore abilità ed energia, se non volevamo «lasciarci cogliere di nuovo al bivio», come ci era avvenuto nel 1914 per la Triplice, fra i legami puramente materiali delle alleanze e gli stimoli ideali, eterni, della Nazione. Questa nostra previsione parve -— allora — così lontana da ogni possibilità, che fummo richiamati all’ordine: — fummo invitati a smettere dal complicare, per le fisime del nostro irredentismo, la politica estera della Nazione, già complicata abbastanza dal problema dell’annessione di Fiume: — fummo avvertiti che il governo di Londra, offeso di essere stato paragonato al governo della ex Austria, aveva segnalato, attraverso la propria ambasciata, al governo di Roma l’articolo del Piccolo della Sera, perchè la campagna