„ANNI GIOVANILI DI MUSSOLINI“ Colui che scriverà la grande e completa biografia di Benito Mussolini dovrà innanzitutto, e necessariamente, attingere a questi «Anni giovanili di Mussolini», il volume che Sante Bedeschi e Rino Alessi, in un’austera edizione Mondadori, hanno scritto, intessendolo con cuore affettuoso e mano maestra attorno al robusto nocciolo di venti lettere del Duce, che — per essere state scritte in piena e intima confidenza e senza il più lontano sospetto che un giorno potessero diventare di pubblico dominio — mantengono un valore profondamente e intimamente umano. Le lettere e i ricordi di Bedeschi sono presentati da Rino Alessi con alcune di quelle pagine così schiette, così terse che fanno dell’Alessi uno dei migliori prosatori italiani. L’obiettivo di questo semplice e chiarissimo libro ritrae il Duce quando muove i primi passi nella vita politica: già nella scuola, già nel collegio, quando la personalità del giovanissimo allievo domina e attrae, pure tenendoli discosti, i condiscepoli; quando l’istinto politico spinge il collegiale adolescente ad evadere dai ristretti confini della scuola per portare l’ardore della parola e la freddezza del ragionamento tra le masse degli adulti, tutti presi — nella feconda e faconda Romagna d’allòra — dai partiti e dalle fazioni che (sia detto ad onor loro) non attenuano il battito di ardente italianità che, sotto l’epidermide partigiana, pulsa nelle vene della gente romagnola. Quasi tutte le lettere del Duce sono del 1901 e del 1902: sono di un Mussolini diciottenne che però rivela già maschie quelle doti di alto intelletto, di chiara energia, di durissima volontà, che dovevano fare di Lui il Duce per antonomasia. Esse già segnano, nella prosa robusta scheletrica nervosa, una linea diritta, come una direttiva di marcia. Della marcia che doveva portarlo sul Campidoglio. Tutte interessanti tali lettere, ma commovente ed esaltante quella del 3 settembre 1902, da Losanna, quando il giovane romagnolo, esule e solo, sperduto nelle opache penombre di un mondo gaudente e gioioso, sente nelle viscere il morso della fame, ma improvvisamente il canto dolcissimo di un’orchestra lo distrae, gli fa scordare il digiuno, lo solleva in un mondo fatto di mille armonie. E quando la musica cessa, e il crampo della fame riprende, esplode in un grido di ribellione contro le ingiustizie della società. Solo chi così duramente ha provato il tormento di ramingare per un mondo ostile ed ha così acutamente saggiato il sale del pane altrui poteva capire la necessità di dare una patria a tutti gli Italiani, di dare il pane a tutti gli Italiani, di finirla con lo sfrutta-