122 FATTI, PERSONE, IDEE mento dell’orizzonte visibile che il Pi-losio gli indica come poter conquistare, anche se lo stesso, in più punti della sua parte critica, gli domandi cose che — almeno a mio parere — lui non s’era prefisso di dover trattare più che per accenno. Ma non è di ciò che mi preme. Lo studio cui ho accennato mi ha — vorrei dire — costretto a prendere la penna in mano per soffermarmi col suo Autore su quel punto del suo scritto che si riferisce all’opinione pubblica della duplice monarchia e alle influenze che questa avrebbe dovuto esercitare sull’opinione pubblica triestina. E quindi comincio con il dare a lui la parola. Egli dice infatti: „Di tutto quel complesso di corrcn-,,ti politiche che correvano nell’in-„terno della duplice monarchia e che „ne costituivano la opinione pubblica e di cui non poteva mancare, no-„nostante la grande voce dell’irredentismo, una risonanza anche a Trie-,„sle, niente si apprende, o ben poco, „dal volume del Gaeta”. E’ un fatto. Nulla vi si apprende. Ma non è possibile pensare che, se nulla vi si apprende, nulla vi fosse da apprendere? Non è di questo parere il Pilosio. E ce ne aveva fatti certi già più su: « ... non accennando, come fa l’auto-«re, ad una opinione pubblica slove-«na, si dovrebbe ammettere la sua «inesistenza; e ciò sarebbe strano «perchè, come giustamente e giustifi-«catamente avvenne, l’irredentismo «dovette affrontare appunto il pro-«blema della difesa della città dalle «correnti d’immigrazione slava. La «opinione tedesca, pur non avendo il «carattere battagliero di quella slava, «ed essendo un riflesso delle idee «governative, aveva però la sua im-«portanza culturale ed economica, e «per queste una notevole risonanza «che non doveva essere trascurata». Ecco; Leo Pilosio si sbaglia; a Trieste, nonostante il problema della difesa della città il cui carattere nazionale si tentava artificialmente di snaturare con le frequenti immigrazioni così slave che tedesche, a Trieste non si può parlare di opinioni pubbliche altrettanto slave quanto tedesche. Trieste, questa meravigliosa assimilatrice che faceva degli Oberdan dei martiri e degli Slataper degli eroi, che sapeva far suoi gli stessi terrazzani a dispetto dei sobillatori accarezzati dall’Austria, non poteva pensare le sue minoranze, compresa la più numerosa ch’era la slava, se non colonie ospitate, nuclei da assorbire, gruppi — in quanto non assorbibili — passibili di cacciata non appena fosse venuto il giorno certo della Redenzione. Così li vedeva, così li sentiva, perciò anche combattendoli — fosse bene o male — non ne curava le eventuali elucubrazioni. E avrebbe dovuto curarsene colui che stava facendo la disamina dell’opinione pubblica triestina del tempo di guerra? Di quel tempo in cui, per una volta, gli irredentisti fraternizzarono con gli slavi con il medesimo intento: distruggere l’Austria? La guerra mondiale, sino al 1918, segnò per Trieste, fra italiani e minoranza slava, una tregua d’armi. E la opinione pubblica diventò così, pVr allora, come mai tanto pubblica: la opinione dell’irredentismo. Che del resto ci si potrebbe anche domandare: può mai dirsi opinione pubblica quella di una minoranza allogena considerata forestiera, non altrimenti di un presidio militare bosniaco nella Capodistria italiana dell’anteguerra? Per noi, e qui intendo la gran parte dei triestini mai vissuti fuori dei margini politici della vita cittadina, per noi le opinioni slava e tedesca facevano parte, in quanto c’erano,