TERZO. XLII quafi quella ificjpt potejlà d’intercedere, laquale baueua* no i Tribuni della, plebe appreffo i Romani:ma quellij acciò difcndejfero la libertà della plebe Romana: ma i no* fin acciocbe mantengano ferma la potejlà delle leggi : on* de non fenza ragione fi potrebboito chiamare Tribuni deU le leggi. Ma noi per non offendere in parte alcuna al* la chiara intelligenza, allaquale primieramente diamo ope» va, no» ci partiremo dal commune, er ufato uocabolo. Quegli riferiuano al popolo,ò alla plebe, quejli nojlri Amo* catori riferifeono delle caufe leggiere a i Signori Quaran* ta, delle maggiori al Senato, delle molto più grandi, fe co=« fi lor parrà, riferifeono talhora al gran Configlio. La on« de anticamente grande era la auttorità di quefio Magiflra* to . Ma bora perche l’auttorità de’ Dieci più ampiamen* te ha jlefe le fue radici, pero la ¡lima de gli Auocatori è ofeurata, fendo fiata feemata dalla auttorità di quegli . Ma ottenendo quel Magijlrato fi ampia poteftà di intercc» dere in tutte le cofe, er la guardia delle leggi a quello pria» cipalmente appartiene : er quegli, che qualche delitto ha* ueffero commeffo,par che principalmente habbino fatto con* tra le leggi, però a i più illuflri cittadini, a iquali appertiene piti che a tutti gli altri dare opera di conferuare la Republt* ca, è paruto loro in un certo modo famigliare cajìigare i delitti di quejla forte con la cenfura de gli Auocatori, tutto che eglino potejlà alcuna non habbino di jlatuire cofa alcuna cotra i rei,altro che in certe caufe picciole, et di poca ualuta: tutte le altre cofe fi jlatuifcono p parere del Cojìglio. In q/lo luogo ¡limo che no fia fuor di tppofìto fpiegare tutto’l modo de i Giudici capitoligli fi fanno ¡> relatione de gli Auocatori: F il