‘226 MOSTAU. " Sicuro che ghe son sta ; e ghe son sta che xe poco.” " Bravo ! la me diga, la prego, xelo vero che i gli’ à fato tante bele cosse, che i gli’ à fabricà, e fato zardini e palazi ?...” Quando ebbi soddisfatto alla curiosità della buona donna, tornai sull’ argomento della cena. " Gesù Maria ! un signor come eia.... qualche cossa gli’ avemo, ma da poera zente.... la vede pur la casa....” * No la se inquieta, parona, no se magna miga la casa....” • Gli avventori ascoltavano ridendo amichevolmente. " Eco qua: se la voi, gli’ avemo i risi colle trippe, e una salata de teghe e patate ; ma in questa, la perdoni, gli’ avemo messo l’ajo.” " Va benon : tanto per un pezo no gli’ avarò da parlar co signore.” La minestra era eccellente, tollerabile l’insalata nonostante l’olio di Dalmazia, il vino discreto, i camerati chiacchieroni e di buon umore. Erano tutti lavoranti alla nuova strada del-1’ Erzegovina ; mi trovavo dunque in piena emigrazione temporanea, come dicono gli statisti. Uno di essi, sedotto dall’ozio domenicale, aveva nella mattinata bevuto a bastanza schnaps per dover poi consumare, diceva lui, quindici caffè a