d’ inchiostro, ma che le nuove generazioni potranno giustamente ignorare, perchè oggi tale nome non dice più nulla. Dopo la guerra del ’66 la marina austriaca, quasi timorosa della stessa improvvisa ed inaspettata fama che la leggenda le aveva creato, aveva ripreso il suo modesto posto tra le marine europee, limitandosi al compito della difesa costiera della breve frontiera marittima della monarchia, la cui politica continentale poco si occupava di problemi navali. La marina italiana, a sua volta, dopo un periodo indispensabile di ricostruzione (che la flotta del ’66, formata dall’unione delle varie marine regionali, non poteva chiamarsi ancora una vera e propria marina nazionale) rivolgeva la sua attività ed il suo sviluppo verso obbiettivi più preoccupanti e minacciosi di quanto non fosse per il momento l’Adriatico. L’occupazione di Tunisi ci gettò decisamente nelle braccia degli imperi centrali e da quel periodo fino alla vigilia della guerra italo-turca lo sviluppo delle forze navali, che la scarsità dei mezzi finanziari non ci consentì di sviluppare in proporzione a tutti gli obbiettivi militari che potevano presentarsi, subì naturalmente le conseguenze dell’orientamento della nostra politica. Il bacino occidentale del Mediterraneo sembrava presentarsi come il teatro più probabile di azione per la nostra guerra marittima e le condi- 17 — La marina italiana, ecc., Voi. I.