120 P. PEDROTTI zione si faccia, i voti siano dall’Europa, e specialmente dall’Italia, consentiti. Non pochi delli stati Italiani, sbadatamente chiamando Tirolesi i Trentini, venivano a confermare quell’assurda denominazione imposta dalle prepotenze, e che fa forza alla natura ed al senso comune; siccome dimostra l’altra assurdità del distinguere codesto Tirolo in italiano e tedesco, come se una provincia stessa potesse nelle istituzioni medesime comprimere e confondere due diverse nazioni. Quell’Impero romano, attribuendo a se tutta sorte di potestà, si negava però quella dellalterare gli elementi della lingua: l'impero d’Austria, cospirante con la Confederazione Germanica, arroga a se la potestà del mutare, siccome il significato de’ termini, così i limiti geografici, e trasporta fin sulle rive dell’Adige la razza e il retaggio d’Arminio. Il clima e il suolo, la struttura de’ corpi e le forme dei lineamenti, l’idioma e l'indole degli ingegni, provano i Trentini essere progenie italiana. Anche dopo attaccati al Tirolo, e con tante speranze seduttrici tirati verso Vienna, i Trentini molto prima che i moti d’Italia si destassero, dimostrarono il loro ribrezzo da codesta aggregazione; e buona parte di loro accorrevano alle università italiane e quanti si davano alle lettere, la lingua d’Italia presceglievano. Nella quale non pochi riuscirono tanto valenti da essere pareggiati agli Italiani più chiari, e similmente nella lingua dell’Italia antica, cioè nel latino, conseguivano quell’eleganza che ai Tedeschi, laboriosissimi e dottissimi, pare negata. Sibbene l’assunto di questa breve nota sia meramente politico, non posso non accennare come un documento di fatto e come parte di storia, che gli studi iniziati da alcuni veronesi per rendere alla lingua italiana corrotta dalla straniera imitazione la sua purità, ebbero da ingegni del Trentino o impulso o sussidi: non posso non accennare che Tridentini sono taluni tra gli scrittori di poesia più lodati oggigiorno per dolcezza di stile e per copia di veramente italiane armonie. E, quand’anche paresse digressione importuna, mi corre debito di testificare che da uomini del Trentino, il Rosmini, il Filippi (8), l’abate Turrini (9), io attinsi l’affetto d’Italia e di Dante, l’amore delle toscane eleganze e delle arti belle, i primi elementi di quella filosofìa italiana, che il grande Roveretano in tutta la nazione instaurò e che merita di divenire europea. Ma più prossimo al nostro argomento