104 PIETRO STICOTTI «ckiana che «lavorava a distrugger ed imbastardire la razza latina», «in combutta con tutti quei «naturalisti alemanni» che andavano «predicando la «stanchezza» e la decadenza «della gente latina». «Il modo migliore di ricordare quest’uomo è volerne l’effìge in «Roma sul Gianicolo, tra i busti dei «liberatori della Patria», come «li denominò Garibaldi il Liberatore per eccellenza. Un figlio di «Trieste, che meritò come Guglielmo Oberdan, il bacio di Garibaldi, «orgoglioso d’averlo avuto capitano del Battaglione Universitario, «ha diritto a un suo posto fra sì auguste testimonianze, là, presso «quella Porta di San Pancrazio e quella Villa Parafili, che furono «il teatro delle sue eroiche gesta. «Restituendo nel 1876 al Comune di Roma, che la serba ora «sul Campidoglio, la bandiera del Battaglione Universitario, gelo-«samente custodita durante l’esilio di Vienna, lo Zamboni si preoc-«cupava sopratutto di questo: «rimarrà essa in eterno ravvolta cottine la vela ammainala di una nave entrata in porto?» «La voleva simbolo stimolatore di una grande Italia avvenire, «in perpetuo avanzamento, non archeologica reliquia di un’Italia «defunta. «La presenza del busto di Filippo Zamboni sul Gianicolo in «cospetto dell’Urbe, avrebbe questo significato, eserciterebbe questa «funzione». E di un altro scrittore ameremmo vedere a Trieste l’effigie e una lapide che lo ricordasse ai suoi concittadini, di uno di quei nostri scrittori che della letteratura facevano nobile istrumento di propaganda irredentistica, in ogni occasione, instancabilmente: voglio dire di Paolo Tedeschi, nato a Trieste nel 1826 e morto esule e cieco a Lodi nel 1911. Come è narrato nelle memorie raccolte dalla vedova e pubblicate l’anno scorso nella rivista triestina «La Porta Orientale», Paolo Tedeschi, dopo aver conseguito la laurea in belle lettere all’università di Vienna, entrò a insegnare nell’i. r. Ginnasio superiore, come allora si diceva, di Capodistria; ma ben presto dispensato dall’ufficio e dallo stipendio per opera della sospettosa polizia austriaca, dovette dare lezioni private a Trieste collaborando contemporaneamente al giornale irredentista dell’epoca «Il Tempo», quando in seguito a un clamorosissimo processo intentato a quel giornale, egli fu incarcerato e alla vigilia della guerra del ’66 bandito dagli stati e dai regni della monarchia insieme con altri patriotti, Carlo Combi, Tomaso Luciani, Nicolò de Rin, Pacifico Valussi. Ma della