274 BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO ventennale della redenzione di Trieste, ma concepito quando l’autrice, triestina andata sposa a un siciliano e vissuta per qualche anno a Palermo, ebbe a notare che la narrazione de’ suoi casi veniva ascoltata, laggiù, con «molto interesse» da tutti; vi apprendevano la conoscenza di un ambiente nuovo e forse insospettato; insospettato, particolarmente, nella sua caratteristica fondamentale: la «italianità profonda e totalitaria». L’entusiasmo e l’orgoglio per questa speciale caratteristica di Trieste s’incidono tanto a fondo nell’animo dell’autrice ch’essi finiscono col farle passare in seconda linea la preoccupazione dei non-triestini e dichiara di volere scrivere il suo diario soprattutto per le due figlioline, fiori gentili germogliati dal suo matrimonio. La madre vuol trasmettere loro la coscienza del titolo più bello per l’educazione di una famiglia triestina: il culto dei valori ideali della Nazione. Quel culto esse lo erediteranno dalla madre loro e sarà la loro più preziosa eredità. Scrittrice di razza (è figlia di Giulio Césari, l’attuale direttore della Rivista Mensile della Città di Trieste, e s’è maritata a un altro scrittore, il nostro Provveditore degli studi, Giuseppe Reina), ella militò anche, insieme col padre, nelle file del giornalismo. Il diario di Aurelia Reina Césari si svolge quindi in una prosa che sa tutta l’arte dell’inquadrare gli episodi, del prepararli, del condurli al culmine del pathos e del concluderli con la debita morale pratica. Vi è tutta la vita di una giovinetta triestina, educata nelle scuole medie comunali con quelle finalità irredentistiche di cui esse erano permeate da cima a fondo e che dovevano celarsi al governo austriaco sotto le più ingannevoli apparenze esteriori. V’è una famiglia d’irredentisti, che la guerra disperde, perséguita, affama, tortura. V’è una città che per quattro anni di fila si vede devastata moralmente, intellettualmente, materialmente, da un’orda di selvaggi e le cui energie di conservazione si raccolgono tuttavia in uno sforzo istintivo di reazione che riesce, da ultimo, vittorioso e fa si che, quando l’esercito dei liberatori entra in Trieste e la occupa, vi trova l’italianità ancora in piedi, anzi, più viva e vitale che mai, Per comprendere come tal miraco- lo abbia potuto avverarsi, conviene lèggere il diario di Aurelia Reina Césari. S’è avverato, perchè v’era — in Trieste — una generazione, come la autrice dimostra nella prima parte del suo libro, allenata sistematica-mente da anni alla più ostinata delle resistenze; s’è avverato, perchè quella generazione, come dimostra la seconda parte, nel momento della prova suprema, non è mancata a sè stessa, si è adattata a continuare e sostenere la lotta persino nei covi degli elementi politici più torbidi della vita cittadina, negli ambienti del giornalismo socialista, ch’era rimasto, cioè s’era lasciato unico a rappresentare (fra il 1915 e il ’18) l’opinione pubblica di Trieste o, addirittura, la sua intellettualità. Quest’ultima parte reca un contributo inestimabile a quella storia della stampa triestina che Giuliano Gaeta ci ha dato col suo volume: Trieste durante la guerra mondiale (Edizioni Delfino, Trieste, 1938) e ch’egli verrà completando con altre monografie sui singoli giornali e periodici di cui s’è nutrita l’opinione pubblica e si è sostanziata la lotta nazionale delle terre irredente. «Io ho l’illusione» — dichiara la autrice, congedando il suo libro, «di aggiungere una testimonianza a quella italianità piena intera entusia-