IRREDENTISMO E FASCISMO 97 Il vento soffiò gagliardo a spazzare la nuvolaglia, nè ristette ino che non ricomparve il sole, il bel sole d’Italia. Trieste, vecchio, solido ceppo di pianta buona, accolse fre-ente le prime scintille del fuoco purificatore. Ebbe il suo Fascio i combattimento a modo e somiglianza di altre città d’Italia. Fascio destino di combattimento che presto si meritò, col sacrificio di tanti nartiri, l’impresa del suo scudo. Ai fascisti triestini il Duce, nel suo primo discorso di Trieste, 1 20 settembre 1920, aveva prescritto particolare consegna: „Ma il compito dei fascisti di queste terre è più delicato, più acro, più difficile, più necessario. Qui il fascismo ha ragione d’es-■ere; qui il fascismo trova il suo terreno naturale di sviluppo.” La consegna venne mantenuta. I neri gagliardetti, impugnati la gioventù ardente, spregiatrice dei pericoli, d’ogni vivere como-lo, guizzarono nel nembo di innumere battaglie. Chi ha vissuto le giornate fortunose delle prime lotte, delle rime mischie, ricorda come un pugno di giovani si lanciava contro nasse imbestialite e dissennate, e le vinceva, le sgominava. Cade-ano i martiri, giovanissimi, e con la vita e col sangue redimevano incora una volta la dignità e la libertà della patria. Poi per il me-aviglioso contagio dell’idea che ardeva in cuore a tutti, per la forza spirituale delle verità che risplendevano, i pochi animosi divennero egioni, moltitudini. I gagliardetti si moltiplicarono a migliaia. Sono vent’anni, da allora, e pare storia di ieri. Storia viva, urbinosa, fiammeggiante, di ieri. Da Trieste partì il segnale della riscossa, quando il movimento parve per breve tempo esitare. La gioventù triestina, capitanata da I rancesco Giunta, si gettò ardita, insofferente d’indugi, esuberante di fede e d’ardore, nella mischia. Le sopravvivenze sparute del panslavismo vennero spazzate, stroncate le resistenze del socialcomunismo, debellati gli scioperi ancora pullulanti a capriccio. Questa violenza esteriore, di corta durata, fu nullameno necessaria, sacrosanta, anche se la comoda democrazia d’allora la i iprovava. L’ordine e l’autorità non si ristabiliscono se non c’è la forza che li impone. Ma cessata la necessità della dura reazione, il movimento ri-pi endeva la sua marcia per la strada che gli ideali purissimi avevano segnata. Lo spirito dominava. Lo aveva proclamato Benito Mussolini, nel suo discorso del primo dicembre 1921 alla Camera: