I CASTELLI FEUDALI DELLA REGIONE GIULIA 253 mura cittadine, rocche facilmente trasformabili in caso di guerra in nidi e fortilizi per i nemici (Moncolano, Moncavo). Lungo tutta la costa istriana, scomparsi i castelli feudali (Sipar, S. Giovanni della Cornetta, Cervera), si rafforzano le «terre» murate, le città coi loro bastioni, talora protette da veri e propri castelli (Castelleone a Capodistria), sugli spalti dei quali fanno buona guardia, non già armigeri del burgravio, rappresentante del signore feudale, ma i cittadini stessi, i rappresentanti cioè della volontà popolare del libero comune italico. Col declinare del feudalismo le rocche isolate, anche le più potenti, andarono in rovina (Pietrapelosa, S. Giorgio in Laimis, ecc.) mentre i nuovi centri abitati, sorti attorno ai castelli feudali, finirono talvolta col soffocarli e, se in alcun luogo il castello sopravvisse (Gorizia), si trasformò, quando non venne demolito (Buie, Castelvenere). Le scorrerie dei Turchi nell’Istria orientale e nel Friuli (secolo XVI) incussero un grande terrore nelle popolazioni e mentre le città alla costa provvidero a rinforzare le mura dalla parte di terra, ad inalzare terrapieni, depositi di polvere, addestrando maggiormente i cittadini alle armi, riprendendo e incoraggiando i giuochi di balestra e gli esercizi dei giovani nel tiro dello schioppetto ed in altre maniere, anche nell’interno e nella Carsia, sempre per il pericolo di incursioni turchesche, si rinforzarono i castelli orientali (Castelnuovo del Carso) e, accanto ad essi, altri ne sorsero (Schiller-Tabor 1471). Di più ancora si costruirono torri isolate di vedetta (dette Tabor) per avvisare il loro avanzare, e si adattarono a ricovero per gli abitanti, e persino per gli animali e derrate, molte grotte naturali che numerose si trovano nella Carsia (S. Sergio, Popecchio). Altri manieri vennero invece distrutti «ab imis fundamentis» lungo il confine carsico durante ed alla fine della guerra fra l’Austria e Venezia (Moccò, Raspo 1511) ; la natura stessa del terreno, di vasti monti boscosi, fece invece sopravvivere più a lungo quelli dell’alto Timavo e della Piuca. Non soltanto per opera dei Turchi, ma anche più tardi, durante la guerra di Gradisca, furono commesse orribili devastazioni con grande costernazione degli abitanti delFIstria e della Carsia. Dopo la rotta dei Veneti a Zaule (24 nov. 1615) i contadini, disperando della propria salvezza, abbandonarono le loro ville e si ricoverarono nelle città e nelle castella, lasciando la campagna, gli animali e tutto all’arbitrio degli imperiali. Era questa però l’ultima guerra nella quale i castelli o le mura delle città potessero offrire