150 OSCAR DE INCONTRERÀ triottiche popolane nel luglio 1900, all’annuncio dell’assassinio di Re Umberto I. Emblema delle nascenti aspirazioni marinare di Trieste, era il Nettuno, armato da un lungo tridente di ferro, che s’ergeva nel centro della fontana di piazza della Borsa, armonicamente posto di contro al classico pronao dell'imponente palazzo omonimo (1802-1800), a pochi passi dalla bella colonna di Leopoldo I (1600) e dalla palazzina «Louis XVI» di Pietro Antonio Romano (1785), poi dei conti de Cassis Faraone, oggi sede del Credito Italiano. Questa fon-lana ci fu strappata clandestinamente nella notte del 9 giugno 1920 e giace ora nel deposito comunale di pietre di Roiano, al viale Regina Elena, perfettamente restaurata in ogni sua parte. Quella ora asportata trovasi invece nel deposito di via Fabio Severo, all’incro-cio con via di Cologna. La fontana del puttino e quella del Nettuno erano più gradevoli all’occhio del profano e più eleganti, ma erano del tipo di quelle usuali settecentesche, che si trovano ancora in molte città consorelle; difettavano precisamente di quella interessante originalità, che nel suo pronunciato grottesco, aveva quella ora demolita. Consimile in ogni sua parte a quest’ultima, se anche artisticamente non confrontabile, di identica ispirazione, è il monumento al Moncenisio in piazza dello Statuto a Torino, elevato nel 1879, su disegno del conte Marcello Panissero di Veglio. Sulla sommità d’un ammasso di roccie molto più alto, aventi alla base dei getti d’acqua, s’erge in piedi, nell’atto di spiccare il volo, un angelo, simboleg-giante il genio della scienza. Una piramide non molto dissimile alla nostra ha poi il monumento a Garibaldi del milanese Egidio Pozzi, eretto nel 1884, in piazza Castello a Pavia (21). La fontana di Piazza Unità era — convengo — in uno stato di grande deperimento. Ma tutti si ricorderanno che quando tra l'8 settembre e il 24 novembre 1926 un non triestino, il commissario prefettizio Ernesto Perez, la fece magistralmente restaurare dall'amico Marcello Mascherini e le ridiede l’acqua, che copiosa scese poi sempre nelle vasche, asciutte da decenni, ci apparve piacevole. Le pianticelle, invocate da Carlo de Marchesetti e da Arduino Ber-lam (22), inserite tra masso e masso, ingentilirono il suo aspetto, celando pudicamente la rudezza dei dettagli (23). L’interno cavo fu allora rivestito di mattoni di malta cementizia nell’intradosso, allo scopo di creare una salda coesione dei pezzi smossi. All’esterno, oltre alla completazione delle statue, furono stuccate tutte le connettiture, per evitare infiltrazioni d’acqua e furono incamiciate in cemento le vasche, per ridurle a tenuta d’acqua. Lo rozza portella