172 BOLLETTINO BIBLIOGBAFICO e dalle autorità politiche insieme. Istruttivo in questo proposito è il caso di don Lorenzo Guetti (II 195-98), reo di avere «proposto ai suoi scolari di devolvere metà dell’importo destinato, secondo la costumanza d’allo-ra, per i premi dell’annata, alla erezione del monumento a Dante [in Trento] e l’altra metà al fondo per il ri-stauro del Duomo di Trento». Come aggravante dell’atto «inqualificabile» per un curato di campagna (il Guetti era curato in un comunello delle Giudicane) si fece valere perfino di aver fatto l’offerta a nome degli scolari non in valuta austriaca, ma «in lire italiane» : cosa che «conferiva all’azione un colore politico molto pronunciato»! Ma don Guetti è una rondine che non fa primavera. L’orientamento generale del clero e dei clericali non dobbiamo desumerlo da casi singoli e sporadici come quello di don Guetti (e di qualche altro che potremmo aggiungere anche noi, di nostra conoscenza personale) : dobbiamo desumerlo dalla relazione ufficiale che l’imperialregia Polizia fece sull’inau-gurazione del Monumento a Dante in Trento. «E’ da notare», — ivi è detto —, «che il clero non era rappresentato che da don Bazzanella, che si trovava tra gli ospiti in mezzo ai suoi colleghi trentini, dal redattore della Voce Cattolica e da alcuni curati della campagna. La popolazione rurale delle valli si astenne dal partecipare a questa festa. Il motivo è da ricercarsi nella pressione esercitata sulla stessa dal clero, che si sentì offeso sia dall’atteggiamento ostile assunto dai liberali nazionali in occasione del Congresso antimassonico, sia in sèguito alle recenti pubbliche conferenze su Dante Alighieri, le quali in alcuni casi assunsero un tono antireligioso» (II, 238, 242). Nelle sessanta (all’incirca) conferenze dantesche organizzate da Cesa- re Battisti per mezzo della Società degli Studenti trentini e tenutesi in altrettanti luoghi del Trentino col fine di dare alla popolazione la coscienza del grande significato della festa nazionale, a me furono assegnate le sedi di Levico e di Arco. Vedo ora, a pag. 232 del volume II, che la Polizia aveva segnalato la «tinta for. temente anticlericale» (non «antireligiosa»!) della mia conferenza di Arco: gli era che sapevo della «pressione esercitata» dal clero sulla popolazione rurale ed avevo assistito al Congresso antimassonico, al quale era intervenuto l’asso clericale Léo Taxil, famoso mistificatore (che fu poi anche smascherato e dovette fuggire da Trento, come, qualche secolo prima, un altro solenne imbroglione e ciarlatano, il Cagliostro). E quel Congresso antimassonico era spesso degenerato in manifestazioni ostili al Begno d’Italia, con grida di Viva il Papa-Re! lanciate nei cortei e nelle processioni sulle pubbliche vie e sulle piazze della città. L’intonazione e l’iniziativa venivano da Vienna, dove si organizzavano i pellegrinaggi dei cattolici a Boma, per omaggiare il «gran prigioniero del Vaticano». Si veda, ad esempio, qui (III 219 sgg., 225 sgg.) tutta la vertenza diplomatica sorta fra Italia ed Austria nel 1893 per le feste dedicate al giubileo episcopale di Leone XIII: in una riunione della Confraternita cattolica di San Michele Arcangelo in Vienna, con l’immancabile dimostrazione antitaliana, cioè temporalistica, a favore del Papa, non s’erano peritati dall’intervenire nientemeno che due ministri austriaci! Ma ad onta d’ogni opposizione, palese o segreta, da parte dell’Austria, ad onta d’ogni intrigo vaticanesco, ad onta d’ogni incoerenza e debolezza da parte dell’Italia ufficiale e non ufficiale, l’irredentismo fece la sua stra-