174 BOLLETTINO BIBLIOGBAFICO Per sempre? — Questo non risulta dal dramma. La separazione del figlio dalla madre sembra lasciare adito alla speranza che si tratti di una espiazione temporanea, di una autosanzione, come usava nel medioevo, almeno in quello delle novelle romantiche, dove ogni tanto s’incontra un romito che nelle privazioni della solitudine sconta volontariamente le conseguenze tragiche di una passione non vigilata e domata dai principi di una sana etica sociale. Nel secondo dramma, La gatta, abbiamo, invece, della gente, la quale, al contrario di Zvanì, non vuole abbandonare a nessun costo la casa di cui ha fatto il proprio mondo. Incombe, su questo dramma, la cupa e paurosa atmosfera delle tragedie del destino (Schicksalstragódien), care al primo romanticismo germanico. La casa non è qui solo c^sa concreta nè è solo simbolo astratto: è una cosa viva, che s’immedesima con l’anima dei personaggi che la abitano e partecipa di tutte le loro ansie. Flavia, la protagonista (la «gatta di casa»), la sente vibrare di tutti i rimorsi che le sconvolgono il cuore, per un delitto di cui si era macchiata: aveva tradito la propria sorella, amoreggiando con suo marito; scoperta la tresca, la sorella aveva ucciso l’adultero, ina la responsabile di tutto era sempre Flavia ... C’è un’altra donna, in quella casa, che si strugge per i rimorsi di un tradimento analogo a quello di Flavia, e Flavia n’è a conoscenza. La donna, ch’è la padrona della casa, vuole scac. ciarne Flavia, che possiede un suo diritto a rimanervi, riconosciutole dal proprietario. Si sferra, tra le due donne, una lotta a coltello, ciascuna per far valere il proprio diritto, cioè l’una per eliminare l’altra e l’altra per non lasciarsi eliminare. La lotta trae le due avversarie in una serie d’ignonimie morali, nella quale cadono e s’insozzano via via anche gli altri abitanti di quella casa che prendono le parti dell’una o dell’altra donna. Piuttosto che cedere, «la rovina!» — si ode gridare a un certo punto. Piuttosto che rappacificarsi, riconciliarsi, perdonarsi, si fa valere l’egoistico e satanico principio: après moi le délugel E la casa sembra udire e secondare la mania di perdizione dalla quale tutti sono invasati. Mentre il litigio arde fra i contendenti, la casa, la quale aveva già dato l’allarme del suo sfacelo con crepe e fenditure che avevano richiesto l’intervento degl’ingegneri e l’appoggio dei puntelli, accelera il crollo di sè stessa. Gli scricchiolìi infittiscono, le spaccature s’allargano, l’architrave si spezza e precipita. Flavia, la gatta che non aveva voluto lasciarsi divellere dalla casa, la più ostinata delle contendenti, vi resta sepolta sotto. Contrariamente all’opinione espressa dall’amico Guido Perale (Rivista Letteraria, Udine, 1938, A. X, pg. 53 sg.), di questi due drammi a me sembra che La gatta sia tecnicamente più forte de L’argine. Quel certo che d’ib-seniano, su cui si basa, cioè la mistura del realistico e del fiabesco è più accorta e più sicura de’ suoi effetti. Il dialogo procede serrato e concitato, intonatissimo all’ esteriorità dell’ambiente, vera «casa di nevrastenici» (pag. 234), che muovono verso la catastrofe come sospinti da una «forza del destino» alla quale non c'è rimedio. Chi ha visto La gatta nella mirabile interpretazione della Pàulo-va e del Cialente sarà, penso, facilmente convinto di quanto dico. Nei giornali ho letto che L’argine ha trovato la sua realizzazione cinematografica in un film ove agiva Gino Cervi e che alla vicenda del Tiro-