BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO 181 ultima ragione per cui gli vogliamo bene. Ma, chiudendo il romanzo, possiamo dire d’aver letto un bel libro? Alla domanda generica e lata non pochi risponderanno forse negativa-mente. Ma non s’illudano perciò di aver enunciato una definizione assoluta e perentoria. Si può anche ammettere che l’opera non sia «bella» nel senso corrente presso i grandi consumatori di romanzi. Ma noi vi sentiamo un valore che esorbita dal concetto di tale bellezza. Se mi si chiedesse se il «Divoratore di se stesso» sia un racconto artisticamente riescito, non faticherei molto a rispondere: opera d’arte compiuta questo romanzo non mi sembra. Il racconto del Tummolo dovrebbe, secondo me, invece riguardarsi come un autentico documentario: franche de vie secondo il clima del romanzo francese d’un mezzo secolo fa. Precisamente: è un brano di vita, di una vita compressa e martoriata, schiacciata da forze inesorabili e cieche, disperatamente negata alla luce e alla gioia. Sotto questo punto di vista il romanzo acquista un valore di primo piano. E’ un libro, dunque, che merita farsi leggere: e che meriterebbe, forse, trovare maggiori consensi di quanti ne abbia finora. (Comunque, nemmeno questi mancarono: e già al suo apparire leggemmo attenti e favorevoli giudizi, fra gli altri, di Silvio Ben-co, di Ferdinando Pasini, di Dino Provenzal). Determinando meglio quanto s’è detto innanzi, se il racconto nell’insieme non può reggere come opera d’arte, a me par di vedere (contrariamente a quanto pensa il Tonelli) che qua e là la pagina sia viva ed efficace e perfino scritta bene. Vogliamo riaprire il libro? Ecco, ad esempio, il protagonista passeggiare solitario senza meta e senza scopo fra le tenebre silenziose: «E me ne vado in questa notte stellata, inciampando contro un sasso e guardandomi le mani tremanti, pallide e scarne». E ancora: «...Sconosciuto notturno, che mi passi vicino e ti volti a guardarmi incuriosito e perplesso, mi credi un pazzo, non è vero, perchè mi vedi gesticolare? Oh, [...] vedo sempre qualcuno quando penso; e vuoi che non gesticoli? Tu ignori quale inferno sia rinchiuso in questo fantoccio di carne che cammina». Dalla concezione d’arte si passa sempre, secondo il piano inclinato su cui si muove l’autore, alla concezione morale. Ecco qui una tipica considerazione: «Sentite: non v’è stato d’animo angoscioso più di quel- lo da cui è fuggita l’immaginazione. In uno di questi stati d’animo s’impiccò alla finestra Gerardo de Nerval. E’ terribile! Si diventa scettici, aridi, cattivi. Temete gli uomini che non hanno fantasia, che vi guardano con indifferenza, senza entusiasmo, senza interesse». E vedete, quando la ispirazione morale gli detta, come il T. sappia esprimere con chiara severa efficacia idee che non son nuove ma che acquistano nuova freschezza e vigoria dalla sincerità dello scrittore: «Non v’è cosa più nauseante di una mediocrità di bene o di male. Sappi eroicamente incamminarti su una delle due strade. Mi sono deciso: scelgo la strada del bene. Allora la tua esistenza abbia una sola meta: la liberazione delle anime. Non temere il disprezzo, non temere la morte e non scoraggiarti mai. Sii l’esempio della purezza, della magnanimità, della grandezza. Non farti travolgere, neppure per un’ora dalla bassezza e dalla dappocaggine degli uomini». «Lotterò contro me stesso, contro il formidabile nemico che sta dentro di me, più invincibile di tutta la